Viva l’Italia! Risorgimento e Resistenza: perché dobbiamo essere orgogliosi della nostra nazione. Chissà cosa direbbe dell’Italia di oggi Garibaldi, che conquistò un regno ma con sé a Caprera non portò i quadri di Caravaggio e l’oro dei Borboni, bensì un sacco di fave e uno scatolone di merluzzo secco. Cosa direbbero i volontari della Grande Guerra, che scrivevano alle madri: «Forse tu non potrai capire come non essendo io costretto sia andato a morire sui campi di battaglia, ma credilo mi riesce le mille volte più dolce il morire in faccia al mio paese natale, per la mia Patria.

Addio mia mamma amata, addio mia sorella cara, addio padre mio. Se muoio, muoio coi vostri nomi amatissimi sulle labbra, davanti al nostro Carso selvaggio». Cosa direbbe il generale Perotti, capo del CLN piemontese, condannato a morte dal tribunale di Salò, che ai suoi uomini ansiosi di discolparlo e addossarsi ogni responsabilità grida: «Signori ufficiali,in piedi: viva l’Italia!»?

«Viva l’Italia!» oggi è un grido scherzoso. Ma per molti italiani del Risorgimento e della Resistenza furono le ultime parole. La Resistenza non è di moda. È considerata una «cosa di sinistra». Si dimentica il sangue dei sacerdoti come don Ferrante Bagiardi, che volle morire con i parrocchiani dicendo «vi accompagno io davanti al Signore», e dei militari comeil colonnello Montezemolo, cui i nazifascisti cavarono i denti e le unghie, non i nomi dei compagni. Si dimentica che i partigiani non furono tutti sanguinari vendicatori ma anzi vennero braccati, torturati, impiccati ed esposti per terrorizzare i civili; e che i «vinti», i«ragazzi di Salò», per venti mesi ebbero il coltello dalla parte del manico, e lo usarono.

Neppure il Risorgimento è di moda. Lo si considera una «cosa da liberali». Si dimentica che nel 1848 insorse l’Italia intera. Oggi è l’ora della Lega e dei neoborbonici. L’Italia la si vorrebbe divisa o ridotta a Belpaese: non una nazione, ma un posto in cui non si vive poi così male. Invece l’Italia è una cosa seria.

È molto più antica di 150 anni; è nata nei versi di Dante e Petrarca, nella pittura di Piero della Francesca e di Tiziano. Ed è diventata una nazione grazie a eroi spesso dimenticati. Aldo Cazzullo ne racconta la storia. Respinge l’idea leghista e la retorica del Belpaese.

Prefigura la nascita di un «partito della nazione». E avanza un’ipotesi: che in fondo gli italiani siano intimamente legati all’Italia più di quanto loro stessi pensino.

Aldo Cazzullo.

Aldo Cazzullo (Alba 1966), dopo quindici anni alla «Stampa», dal 2003 è inviato del «Corriere della Sera». Oltre alle vicende italiane, ha seguito le elezioni di Bush, Obama, Erdogan, Zapatero e Sarkozy, le Olimpiadi di Atene e Pechino e i Mondiali di calcio in Giappone e Germania.

Da Mondadori ha pubblicato: I ragazzi di via Po (1997), I ragazzi che volevano fare la rivoluzione (1998), Il caso Sofri (2004), Testamento di un anticomunista (2000, con Edgardo Sogno), Il mistero di Torino (2004, con Vittorio Messori), I grandi vecchi (2006, premio Estense 2006), Outlet Italia (2007) e L’Italia de noantri (2009).