Vendetta privata? Omicidio premeditato? Giustizia sommaria? Difficile dire perché sono stati così orrendamente massacrati e smembrati i tre corpi rinvenuti durante lo scavo di un canale romano lungo la via Emilia, a est di Modena, tra San Lazzaro e Fossalta. Quel che è certo è che, dopo aver infierito sui cadaveri, gli assassini hanno cercato in ogni modo di occultarli, zavorrandoli al fondo del canale con mattoni prelevati da un monumento funerario che si trovava nelle vicinanze.

Un delitto efferato che eviterà i tribunali e la cronaca nera, visto che è stato commesso tra il I secolo avanti Cristo e il secolo successivo, dunque duemila anni fa.

La terribile scoperta è avvenuta pochi giorni fa durante i lavori per la realizzazione di un interrato. A due metri di profondità, oltre ai resti di una necropoli e di un antico fossato di età romana, sono emersi gli scheletri incompleti di più individui che, in base al conteggio delle teste (due crani e un calvario), sono risultati essere tre maschi, di cui un adulto (tra i 24- 30 anni), un giovane adulto (tra i 18- 25 anni) e uno juvenis (tra i 16-20 anni).

Il resto dei corpi è ampiamente lacunoso. Del più giovane, si conserva solo il bacino e le gambe, manca tutta la parte superiore del corpo mentre quello che si presume essere il suo cranio è stato rinvenuto tra le gambe divaricate, così come le braccia.

Del giovane adulto tra i 18 e i 25 anni resta la testa e parti di una spalla e un arto superiore, mentre il più anziano dei tre, di circa 30 anni, è privo di tutta la parte inferiore del corpo, bacino compreso, e ha le braccia incrociate dietro la schiena, evidentemente legate all’altezza dei polsi.

Comprensibile lo sconcerto degli esperti di fronte a un ritrovamento che, almeno in Emilia-Romagna, è senza precedenti.

Secondo l’antropologa, l’assenza di reazioni infiammatorie nelle parti conservate indica che gli smembramenti sono stati effettuati al momento della morte o subito dopo, mentre gli archeologi escludono che si tratti di un rituale funerario visto che in quell’area di necropoli si praticava solo la cremazione, peraltro tipica di quel periodo. Il ritrovamento delle teste fa escludere anche le ipotesi che potesse trattarsi di proscritti (sotto la dittatura di Lucio Cornelio Silla si stabilì che potevano essere decapitati in qualunque luogo, ricevendo una ricompensa per ogni testa), così come di condannanti alla pena capitale, le cui teste mozzate erano esposte a pubblico monito e i corpi gettati in fosse comuni.

In attesa che ulteriori elementi possano gettare qualche luce su questo inquietante rinvenimento, gli scavi archeologici nella necropoli che fiancheggiava l’antica via Emilia proseguono. Sono state recuperate alcune tombe a incinerazione e i resti di un monumento funerario spogliato in antico dai marmi che lo adornavano. Di questo manufatto restano solo pochi frammenti (di colonne ioniche, capitelli corinzi, cornici e di un lastra raffigurante una ninfa) che però concorrono a definirne la tipologia “a edicola” e a datarlo tra il I sec. a.C. e l’inizio del I secolo d.C. Al momento sono state scavate soltanto due tombe a incinerazione che hanno restituito urne cinerarie e alcuni elementi di corredo, come balsamari in vetro e i resti di un letto funerario in osso, databili allo stesso periodo.

Le indagini archeologiche, dirette da Donato Labate e Luca Mercuri dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, sono condotte sul campo da Francesco Benassi, della ditta ArcheoModena. I lavori sono finanziati da Livio Schiatti, proprietario dell’area su cui sorgerà una concessionaria. Lo studio dei reperti ossei è stato affidato all’antropologa Vania Milani.