L’intervento del Presidente dell’Associzione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna, Paolo Bolognesi tenuto in Piazzale Medaglie d’Oro, in occasione della commemorazione del XXXIII anniversario della strage alla stazione del 2 agosto 1980.

 

“2 agosto 1980, ore 10,25.

20 chilogrammi di micidiale esplosivo fanno saltare in aria la stazione di Bologna, uccidendo 85 persone e ferendone 200.

Da quel momento parte, e continua ancora fino ai giorni nostri, un tristissimo calvario per quelli di noi che erano qui quel giorno e si sono ritrovati lesi nel corpo e nell’anima e per i familiari di chi in questo piazzale ha trovato la morte, costretti a subire un ergastolo del dolore deciso da altri.

I nomi di questi “altri” vogliamo ricordarli da questo palco, per ricordare le loro responsabilità, le responsabilità di chi ha attuato la strage alla stazione e di chi ne voleva nascondere i retroscena: sono i terroristi fascisti Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini, esecutori materiali; sono il Gran Maestro della Loggia Massonica P2 Licio Gelli, il faccendiere Francesco Pazienza, gli appartenenti al SISMI (Servizio Segreto

Militare) ed iscritti alla Loggia Massonica P2, generale Pietro Musumeci e colonnello Giuseppe Belmonte, coloro che hanno depistato le indagini per tentare di condurle su un’ inconcludente pista internazionale.

Nonostante le condanne, tutti costoro sono in libertà da anni. Nel manifesto di quest’anno abbiamo scritto:

OGGI ARRIVARE AI MANDANTI È POSSIBILE: IL RICORDO CONSOLIDI LA MOBILITAZIONE DELLE COSCIENZE. LA VERITÀ È A PORTATA DI MANO

Dopo le condanne definitive del 1995 e del 2007, non vi è più stato nessun sussulto da parte della Procura di Bologna, nessun tentativo di leggere il loro disegno politico, pur abbastanza trasparente, se letto nel contesto complessivo di tutto il disegno stragista portato avanti dal 12 dicembre 1969 ed esposto lucidamente nella relazione della Commissione Parlamentare presieduta dalla Onorevole Tina Anselmi ed attraverso una serie di accertamenti eseguiti nell’ambito delle indagini svolte da numerosi altri giudici.

Oggi ci rendiamo conto che, nel corso delle indagini sul fallimento del Banco Ambrosiano, furono sequestrati a Licio Gelli anche altri atti dai quali, sulla base delle conoscenze attuali, è possibile trarre argomento per considerare il suo coinvolgimento molto più che un semplice depistaggio.

Infatti, appunti recentemente rintracciati, scritti da Licio Gelli e contenenti riferimenti alla città di Bologna, provano la destinazione a luglio 1980 di milioni di dollari a persone vicine a Gladio e ai Servizi Segreti; in esse si fa esplicito riferimento a finanziamenti per oltre 10 milioni di dollari, erogati tra luglio e settembre 1980 tramite le collegate estere

del Banco Ambrosiano a favore di uomini che a quelle strutture appartenevano. Tutto ciò porta a presupporre che non siamo più nell’ambito del depistaggio, ma in quello del pieno concorso nell’organizzazione della strage.

Da una attenta lettura di tutte le sentenze definitive pronunziate sinora in materia di stragi, anche se assolutorie in ordine a singole posizioni processuali, tutte indicano univocamente negli ordinovisti veneti i responsabili di tutte le stragi dal 1969 in poi e nei servizi segreti le strutture che hanno offerto loro sistematicamente protezione.

Non vi è alcun dubbio che l’interpretazione della vocazione stragista di alcuni ceti in quegli anni fu resa processualmente impraticabile per effetto della copertura data dagli onorevoli Giulio Andreotti e Francesco

Cossiga alla operazione Gladio ed alle strutture connesse, che, contrariamente a quanto dichiarato in Parlamento dal primo , nell’autunno 1990, era strutturata per condizionare il normale svolgimento della vita democratica del Paese e sfruttava sistematici rapporti di collaborazione e di strumentalizzazione degli uomini di Ordine Nuovo e della mafia.

Vi sono poi anche numerosi altri elementi di prova che l’Associazione ha sottoposto all’attenzione della Procura bolognese da oltre un anno.

Tutti dimostrano che a suo tempo i depistaggi furono molto più numerosi di quelli accertati e che la presenza pervasiva di ufficiali e funzionari piduisti negli organi di investigazione riuscì allora pienamente nel proposito di frammentare il materiale investigativo in modo che esso non fosse leggibile nella sua unitarietà.

Aspettiamo che la magistratura ne tragga le conseguenze evitando di farsi blandire e prendere in giro da acchiappa – fantasmi che sembrano perseguire il solo scopo del depistaggio della memoria e di sollecitare da parte della opinione pubblica un’assoluzione mediatica degli esecutori materiali della strage già condannati con sentenza definitiva.

Una cosa è certa, ed oggi viene emergendo progressivamente nel corso di alcuni processi: le indagini di quegli anni furono fortemente viziate dal pregiudizio della completa separatezza tra attentati di natura terroristica ed attentati di natura mafiosa. La democrazia italiana non può più convivere con una serie di equivoci che hanno poi aperto la strada ad ulteriori tentativi, non meno insidiosi, di ribaltare l’assetto costituzionale del Paese.

Occorre che sia chiaro a tutti che la strage del 2 agosto 1980 oltre le 85vittime ed i 200 feriti ha avuto come parte offesa principalmente la democrazia di questo Paese.

La strategia dei depistatori e di chi ha interesse a mantenere nell’ignoranza e nell’impotenza la popolazione è sempre la stessa: far calare l’oblio su ciò che è stato, mistificare la realtà, punire chi ha squarciato il velo di omertà, proteggere e premiare gli amici.

E anche molti nomi sono spesso gli stessi.

Così si spiegano gli inauditi privilegi concessi agli esecutori materiali Mambro e Fioravanti, liberi da anni nonostante decine e decine di anni di carcere comminati e svariati ergastoli per i numerosi delitti commessi.

Così si spiega l’ultima, incredibile assoluzione di Ciavardini per la partecipazione ad una rapina in cui era stato riconosciuto da un testimone ed erano state riscontrate le sue impronte digitali.

Così si spiega perché è rimasto impunito il barbaro omicidio del pentito di destra Sergio Calore, eseguito il 6 ottobre 2010, quasi esattamente un anno dopo l’analitica deposizione resa nel 2009 davanti alla Corte d’assise di Brescia, per la strage di piazza della Loggia.

Così si spiega l’assordante silenzio mass-mediatico e giudiziario piombato sull’inquietante figura di Gennaro Mokbel, faccendiere nero coinvolto nel maxiriciclaggio Fastweb-Telecom e legato a doppio filo alla banda della Magliana, alla massoneria, ai servizi segreti e al neofascismo romano che imprudentemente aveva dichiarato al telefono che Fioravanti e Mambro gli erano costati un milione e duecentomila euro. Nomi che ritornano. Il nome di Gennaro Mokbel era già emerso durante le indagini della Commissione P2, tanto che questo personaggio aveva colpito anche Tina Anselmi.

Nomi che ritornano. Come quello di Massimo Carminati, ex terrorista dei Nar legatissimo a Fioravanti e killer al servizio della banda della Magliana.

Una approfondita inchiesta del settimanale “l’Espresso” è riuscita a ricostruire la nuova mappa criminale di Roma, tenuta in pugno da quattro figure, con un ruolo dominante di Carminati. E la strategia criminale è quella della sommersione o dell’invisibilità: niente più omicidi, ma solo affari svolti in silenzio, con l’aiuto della politica sostenuta dalla mafia.

Questa connessione non è una novità di oggi: per avere indagato su di essa 3 killer rimasti ignoti nel febbraio 1980 uccisero a Roma Valerio Verbano, studente diciannovenne che aveva condotto inchieste personali e redatto un fascicolo, poi detto “dossier Nar”, nel quale aveva raccolto molte informazioni e documentazione fotografica sull’estremismo di destra romano, con tanti nomi, foto, luoghi di riunione, amicizie politiche e legami con gli apparati statali. Dell’esistenza di questo “dossier”, mai più ritrovato, era a conoscenza anche il giudice Mario Amato, magistrato coraggioso che aveva ricostruito i legami tra neofascisti, servizi segreti e criminalità comune e organizzata.

Nelle settimane precedenti la strage alla stazione, Mario Amato aveva intuito che il Paese si trovava alla vigilia di avvenimenti drammatici:

“Siamo in pratica alle soglie di una guerra civile” aveva dichiarato nel corso di accorate audizioni davanti al CSM, avvenute nel marzo e nel giugno 1980, l’ultima dieci giorni prima di essere assassinato dai NAR guidati da Valerio Fioravanti .È anche e soprattutto grazie al lavoro di quell’eroico magistrato che si è potuti giungere a scoprire esecutori e depistatori della strage del 2 agosto ed a lui e ai magistrati che hanno saputo raccoglierne il testimone va tutta la nostra commossa riconoscenza.

La verità raggiunta finora è però solo parziale: mancano i mandanti e gli ispiratori politici.

Oggi si può fare di più. Oggi si deve fare di più.

La verità sulle stragi che hanno insanguinato il nostro Paese è a portata di mano. I cosiddetti misteri della nostra storia recente non possono più dirsi tali: restano soltanto accertamenti da completare, silenzi omertosi da sciogliere e conclusioni da trarre, anche quando non gradite.

I materiali raccolti nell’ambito dei processi per le stragi di piazza Fontana, di Brescia, dell’Italicus e di Bologna consentono di ricostruire la nascita e lo sviluppo della strategia della tensione e di riconoscerne protagonisti e promotori, con i loro complici ,dentro e fuori le strutture dello Stato. La via per arrivare a svelare questi inconfessabili retroscena, la nostra Associazione l’ha indicata nelle memorie che abbiamo inviato alla Procura di Bologna: ad essa sono allegati due milioni di pagine di atti digitalizzati di diversi processi, da piazza della Loggia a piazza Fontana, le cui risultanze gettano nuova luce anche su aspetti relativi alla strage alla stazione, proprio per arrivare ai suoi mandanti ed ispiratori politici.

Tra i 400 nomi che avevamo suggerito alla procura di interrogare vi era quello di Amos Spiazzi. Non c’è avvenimento dal potenziale contenuto eversivo che non abbia visto emergere, negli anni ’70 e ’80 il nome del colonnello Amos Spiazzi, che nonostante ciò (o forse proprio per questo) ha percorso tutti i gradi della carriera militare, fino a divenire generale.

Amos Spiazzi è morto nel novembre dello scorso anno, senza che nessuno lo avesse interrogato.

Nessuno gli ha chiesto perché nella sua agenda del 1980, il giorno 2 agosto, all’ora della strage, avesse annotato: “Pacco ritirato in posto B”.

Nessuno gli ha chiesto quali erano gli ordini a cui più volte aveva proclamato di obbedire, e da chi provenivano questi ordini.

Nessuno ha chiesto perché già nel marzo del 1980, cinque mesi prima della strage, fosse stato artefice del primo depistaggio tendente ad incastrare il neofascista “dissidente” Marco Affatigato e far fallire con lui ogni indagine sulla strage.

Riteniamo di aspettarci, in forza della nostra fiducia nello Stato di diritto, che la Magistratura non mancherà di sgombrare il campo dai cosiddetti depistaggi, di cui gli esiti parziali della Commissione Mitrokhin sono uno degli esempi, ed approfondisca tutto ciò che è utile e necessario dalla rilettura generale del fenomeno terroristico che abbiamo proposto.

Nel frattempo è scomparso anche il Senatore a vita Giulio Andreotti e nessun magistrato di Bologna ha trovato il tempo di interrogarlo, nonostante il suo nome sia stato fatto da più testimoni del processo per piazza della Loggia come referente del cosiddetto Anello, un servizio supersegreto che coordinava elementi dei vari servizi segreti e della malavita.

Ci rivolgiamo ai magistrati, alle istituzioni e ai cittadini tutti: oggi è possibile svelare e raccontare una storia collettiva sepolta da circa trent’anni di oblio organizzato, è possibile portare avanti quelle battaglie proprie delle associazioni delle vittime.

Su sollecitazione delle stesse associazioni è stata depositata una proposta di legge per istituire nel nostro ordinamento il reato di depistaggio per sanzionare pesantemente tutti coloro che all’interno delle istituzioni, impediscono col loro comportamento l’accertamento della verità Vi è poi l’incredibile vicenda della legge 206 del 2004 (Nuove norme a favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice),sono passati nove anni e nonostante l’impegno di tutti i governi che si sono succeduti non è ancora completamente attuata. Al momento finalmente sono stati trovati i fondi necessari, ci auguriamo che dagli impegni unanimi si passi finalmente alla fase attuativa eliminando ogni altro impedimento senza prolungare le già lunghe attese delle vittime del terrorismo.

La nostra Associazione, per il semplice, ma rivoluzionario fatto di non aver mai smesso di cercare giustizia e verità, è stata a più riprese criminalizzata, indicata come artefice di attività di spionaggio e in più occasioni anche nei nostri confronti si è tentato di invertire i ruoli di vittime e carnefici.

L’altro fronte su cui continueremo a batterci è quello della ricerca di una completa giustizia e verità sul terrorismo e sullo stragismo in Italia. In questo senso risultano interessanti e degne di nota le parole pronunciate da Pietro Grasso, già magistrato antimafia e oggi Presidente del Senato.

Come noi anche Pietro Grasso ha ipotizzato che, dietro a fatti criminali apparentemente isolati, vi sia un disegno di più ampio respiro, un filo nero, quel filo nero che il magistrato Mario Amato era riuscito ad intuire e che, passando dai terroristi, dai servizi segreti, da logge massoniche occulte, dalla criminalità organizzata e da pezzi delle istituzioni, lega fra loro singoli episodi delittuosi, in un disegno criminale che in Italia si intreccia con la storia stessa della nostra nazione, e tuttora ne condiziona la vita politica e sociale.

Questa non è solo la storia di trentatré anni fa, non è solo la storia della strage di Bologna: è la storia di tutto il nostro Paese, è la sua attualità, e, senza la determinazione a svelarne tutti i retroscena, rischia di essere anche la storia che condizionerà il nostro futuro.

L’importanza di indagare e comprendere fino in fondo queste vicende la spiegano le parole del coraggioso giornalista Roberto Saviano: “Leggere, conoscere, è quanto di più pericoloso si possa fare contro le organizzazioni criminali; chiunque pensa che queste storie non lo riguardino non si sta difendendo, al contrario: sta solo decidendo di chiudere gli occhi”.

Trentatré anni fa, mani e menti criminali decisero di chiudere per sempre gli occhi dei nostri cari.

Ma rimangono aperti i nostri occhi e gli occhi di chi come voi ci ha sostenuto in questi anni e continua a sostenerci: occhi leali di persone oneste, occhi spesso arrabbiati per civile indignazione, occhi a volte umidi per la commozione, ma occhi mai spenti e comunque sempre aperti.

Per questo, per il vostro grande supporto e per la vostra presenza qui, oggi:

GRAZIE”.

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L’intervento del Sindaco di Bologna, Virginio Merola, tenuto in Piazzale Medaglie d’Oro, in occasione della commemorazione del XXXIII anniversario della strage alla stazione del 2 agosto 1980.

“E’ appena stata inaugurata la nuova stazione dell’Alta Velocità, la più importante d’Italia, migliorerà col tempo, ma rispetto a trentatré anni fa ha accorciato di un bel po’ le distanze tra Bologna e il resto del Paese, e se devo fare un’analogia… bene …che sia un segnale, le distanze dalla verità si stanno accorciando, perché non dimenticare è come uno strano e unico treno, a cui più aggiungi carrozze, più va veloce, e le carrozze che si aggiungono sono piene di vita nuova che ha sete di sapere.

Quindi non dimenticare prevede non solo ricordare e tramandare, ma non chiudersi nella rassegnazione, dopo 33 anni è la cosa più difficile da fare, far sì che non si tratti di una normale e dovuta commemorazione, far sì che ogni volta il 2 agosto diventi un evento autentico che aggiunge qualcosa di nuovo nei cuori e nelle teste dei bolognesi e dei cittadini di questo Paese.

Cosa aggiungiamo ogni volta?

Aggiungiamo vita. Sì, vita. Vita della nostra città, vita dei nostri giovani, vita nel riconoscersi.

Bologna ha questo formidabile senso della vita quel senso che fa sì che i nostri ricordi restino vitali nelle menti di chi ha una vita davanti.

Ogni anno noi facciamo lo stesso percorso, camminiamo per strada e arriviamo alla stazione, ogni anno questo camminare in strada è tutt’altro che un fatto retorico, sentiamo il rumore dei nostri passi e sappiamo che anche chi non c’è, c’è lo stesso perché ciascuno ha i suoi sentimenti, le sue idee, qualcosa che nella sua vita dice “arriverà mai la verità?”.

E aspetta, non importa dove sia alle 10.25 del 2 agosto 2013, importa che non ha smesso di pensarci.

Cosa aggiungiamo ogni volta?

Questa volta aggiungiamo pezzi di città, quest’anno non c’è solo la strada che percorriamo per andare in stazione, ma tante strade, ciascuna intitolata a una delle vittime.

Intitolare delle vie della città a chi ha perso la vita quel giorno di trentatré anni fa è un gesto di nuovo vitale, trasforma la memoria in un percorso fisico, in un luogo di vita, una strada, una vena della città, un posto dove ci si incontra e si vive.

Da una lapide a tante strade, una strada per ciascuno dei nostri morti, perché ciascuno dei vivi lo onori con i propri passi e quella via diventi parte della loro vita di ogni giorno.

Una cosa è chiara, questa non è ormai storia, qualcosa di remoto per i nostri giovani.

Quella maledetta bomba, e i morti che ha fatto, non è ormai qualcosa di remoto e lontano, è qualcosa ancora molto attuale, presente che non si può ridurre a un fatto antico.

Dire che non è storia passata ma una ferita presente significa dire che finché la verità non verrà fuori la storia non si chiuderà mai, questo debbono sapere i nostri giovani, noi lasciamo loro non una storia antica ma un compito presente, oggi per domani, per tutto il tempo necessario, una staffetta dove il testimone si passa di padre in figlio, da madre a figlia, da amico ad amico, e noi continueremo a passarci il testimone finché tutti i colpevoli verranno fuori.

E continueremo a farlo dando il nostro appoggio alla associazione dei familiari delle vittime del 2 agosto, a cominciare dal fatto che sia applicata finalmente la legge per il risarcimento dei familiari e che si discuta e si approvi una legge per introdurre il reato di depistaggio.

Così come il Ministro Graziano Delrio a nome del Governo oggi ha assicurato.

E continueremo a farlo con la nostra presenza e la nostra partecipazione.

Ricordare le vittime significa ricordare persone a cui è stata tolta la vita perché considerate irrilevanti, perché considerate masse indifferenziate.

Cose trascurabili e sacrificabili per la lucida follia terrorista e per gli scopi ignobili dei loro mandanti. Ricordare queste persone allora, piantare la memoria della loro esistenza concreta significa rifiutare, disprezzare l’idea totalitaria e antidemocratica che considera donne e uomini come mezzi sacrificabili, che considera le persone che si riuniscono insieme come folla stupida, come massa simile ad un gregge.

Da trentatré anni noi stiamo dimostrando che può esserci invece una intelligenza collettiva, fatta di persone pensanti, che con idee diverse sono capaci di ritrovarsi per una comune e condivisa domanda di verità e di giustizia.

Perché non dimenticare ha senso profondo solo se risponde a un bisogno di rinnovamento, di voltare pagina, di risolvere in meglio, di poter davvero come comunità nazionale ricominciare insieme.

La presenza e la vicinanza, la ritrovata attenzione delle più alte cariche della nostra Repubblica con il Presidente Laura Boldrini ci conforta e ci sostiene in questo impegno civico che ci accomuna da trentatré anni.

Come una promessa da mantenere.

Con una speranza ostinata.

La speranza che finalmente che questa nostra amata Repubblica ritrovi, nella verità e nella giustizia, la capacità e la possibilità autentica di dire “ NOI”.