urna-cineraria-con-ossaCi svelano aspetti non solo dei rituali funerari nelle Terramare, ma anche informazioni sulla vita di una comunità della pianura padana di oltre tremila anni fa, gli scavi alla necropoli dell’età del bronzo di Casinalbo intrapresi dal Museo civico archeologico di Modena con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna. Le nuove scoperte – risultato degli scavi diretti da Andrea Cardarelli e di ricerche con tecniche innovative – sono al centro della mostra “Le urne dei forti”, che inaugura a Palazzo dei Musei domenica 14 dicembre alle 17.

“Scavi e ricerche innovative di alto valore scientifico – sottolinea Gianpietro Cavazza, assessore alla Cultura del Comune di Modena –sono stati condotti in collaborazione e in rete con importanti istituti culturali. E i risultati, che hanno ampliato la conoscenza del passato più antico delle popolazioni che hanno abitato il territorio, diventano patrimonio culturale condiviso grazie all’impegno dei Musei civici per una efficace valorizzazione e divulgazione”.

I nuovi scavi nella necropoli, individuata nel 1880, hanno consentito di indagare circa un quinto dell’estensione presunta, 12 mila metri quadri, e di recuperare oltre 600 tombe, pozzetti entro cui erano sistemate le urne cinerarie con i resti dei defunti.

Sono stati individuati sentieri che isolavano nuclei di sepolture e aree dove si svolgevano rituali prima e dopo il rogo funebre che, ricostruiti grazie alle evidenze archeologiche, richiamano quelli che Omero descrive nell’Iliade raccontando i funerali di Patroclo.

Le ricerche archeologiche e antropologiche hanno consentito di recuperare informazioni sulla demografia, l’organizzazione della società, le condizioni di vita dei suoi abitanti. Dai resti delle cremazioni contenuti nelle urne, sottoposti a minuziose analisi, si sono ricavati dati sulle aspettative di vita (molti morivano ancora neonati, un individuo su tre moriva durante l’infanzia o l’adolescenza, mentre pochissimi erano i sessantenni). Nei raggruppamenti di tombe, attribuibili a diversi nuclei di parentela, le sepolture maschili e femminili occupavano posizioni diverse.

Le evidenze riscontrate nel terreno e suggerite dai reperti hanno reso possibile ricostruire la successione delle azioni che accompagnavano il rito, che nell’antichità doveva avere una forte valenza simbolica accresciuta dalla pratica della cremazione.

La mostra vuole trasmettere ai visitatori l’aspetto della necropoli e i riti che vi si svolgevano conducendo il visitatore – attraverso ricostruzioni e filmati che creano una dimensione evocativa – a percorrere virtualmente un sentiero dell’area sepolcrale fino alla pira e ad “assistere” alle cerimonie che avevano come protagonista il defunto e la comunità che lo affidava al mondo ultraterreno. Si accede poi a un percorso espositivo di reperti, immagini, testi e strumenti multimediali.

La mostra – realizzata con il contributo della Fondazione Cassa di risparmio di Modena, e con la collaborazione delle Soprintendenze per i Beni Archeologici di Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte che hanno prestato reperti di confronto – è curata da Andrea Cardarelli, docente di Preistoria e Protostoria all’Università Sapienza di Roma e da Cristiana Zanasi, curatrice del Museo civico archeologico di Modena. Hanno collaborato alla ricerca il Museo Preistorico Etnografico Luigi Pigorini di Roma e l’Università di Modena e Reggio Emilia.

“Le urne dei forti” sarà visitabile gratuitamente nella Sala Crespellani dei Musei civici, al terzo piano di Palazzo dei Musei, fino al 7 giugno 2015 da martedì a venerdì dalle 9 alle 12; sabato e domenica dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19.

 

PER I MORTI CREMAZIONE, LIBAGIONI, SEPOLTURA

Nella comunità di 3.500 anni fa il rito di passaggio correlato alla morte passava per la pira Da scavi e ricerche informazioni su demografia, organizzazione e differenziazioni sociali

Gli abitanti delle Terramare cremavano i defunti sulla pira e in alcuni casi frammentavano gli oggetti del corredo e ne facevano offerte votive accompagnando il rito con libagioni, forse con vino. Le donne partorivano in media sei figli, dei quali solo due o tre riuscivano a raggiungere l’età adulta. Sono solo alcune delle scoperte emerse dagli scavi alla necropoli di Casinalbo e dalle ricerche successive, che hanno permesso di ricostruire aspetti dell’organizzazione sociale e soprattutto della ritualità funeraria delle Terramare, presentati nella mostra “Le urne dei forti” allestita dal 14 dicembre a Palazzo dei Musei a Modena (largo Sant’Agostino).

Un rituale funerario è composto da una serie di azioni in successione, molte delle quali (lamentazioni, canti, cortei) non lasciano evidenze archeologiche. Di altre azioni, invece, possono rimanere tracce indirette (ad esempio i resti di un banchetto funebre), o dirette (come la forma delle tombe, i segnacoli che le indicavano, i resti umani nelle sepolture, il corredo funerario, la presenza di offerte in cibo o floreali). Le metodologie di scavo e le analisi di laboratorio oggi consentono di recuperare informazioni fino a poco tempo fa impensabili.

Negli scavi di Casinalbo è stato possibile individuare alcune tracce e raccogliere una serie di informazioni sul rituale adottato dalla comunità, che consisteva nella cremazione dei defunti. Le evidenze archeologiche identificate possono essere ricondotte ai quattro principali livelli del rituale di passaggio correlato alla morte: le celebrazioni precedenti la cerimonia funebre; la cerimonia funebre vera e propria; il distacco dal defunto attraverso l’inumazione o la cremazione; i rituali successivi alla deposizione. Si ritiene che a Casinalbo il defunto venisse esposto su una piattaforma lignea per essere sottoposto ai rituali che precedevano la cremazione. Successivamente veniva adagiato sulla pira, frequentemente con gli oggetti che ne definivano lo status sociale: spade e/o pugnali per i maschi adulti, spilloni e pendagli per le donne o gli adolescenti. Dopo il rogo le ossa combuste venivano raccolte, lavate, selezionate e infine collocate nell’urna, successivamente deposta in un pozzetto scavato nel terreno, ricoperta di terra e spesso segnalata da un cippo costituito da un grande ciottolo. Gli oggetti personali del defunto, soprattutto quelli dei maschi adulti, non venivano immessi nell’urna o nel pozzetto ma erano successivamente ridotti in minuti frammenti, per decretare con un atto simbolico la loro perdita di funzione, e quindi offerti alla divinità in un’area speciale della necropoli, probabilmente con l’accompagnamento di libagioni, forse a base di vino.

Grazie al microscavo condotto sui riempimenti delle urne, è stato osservato che le ossa non erano deposte caoticamente, ma quelle del cranio erano selezionate e deposte per ultime nel cinerario, quasi a voler ricostituire almeno parzialmente la forma anatomica del defunto.

Dalle minuziose analisi antropologiche si sono ricavati dati sulla composizione della società e sulle aspettative di vita. Molti morivano ancora neonati e non venivano deposti nella necropoli, un individuo su tre moriva durante l’infanzia o l’adolescenza, fra gli adulti pochissimi erano sessantenni. Tramite formule complesse mutuate dagli studi di demografia, è stato possibile ricostruire il modello di famiglia nucleare di questa comunità: mediamente una donna poteva avere circa 6 figli. Due dovevano decedere entro i 2-3 anni, uno o due entro i 20, e due o tre riuscivano a raggiungere l’età adulta.

I gruppi di sepolture erano posti all’interno di isolati delimitati da strade larghe circa due metri. che si incrociavano ortogonalmente  e che isolavano nuclei di sepolture, in gran parte riferibili a gruppi parentelari, che dimostrano di essersi ampliati nel corso dei secoli. All’interno dei raggruppamenti le sepolture maschili e quelle femminili occupavano tendenzialmente posizioni diverse. Questa organizzazione interna della necropoli appare straordinariamente analoga a quella degli abitati terramaricoli, le cui abitazioni sono inserite all’interno di analoghi isolati, risultanti dall’incrocio di assi viari ortogonali. Probabilmente villaggi e necropoli erano organizzati secondo lo stesso modello. Gli isolati forse rispecchiavano l’esistenza di unità residenziali di più abitazioni pertinenti a nuclei parentelari estesi.

Sebbene la particolarità del rituale funerario abbia in gran parte mascherato le differenziazioni sociali, l’uniformità della necropoli è solo apparente. Molti indizi (ad esempio la disposizione dei frammenti derivanti dalla frammentazione rituale dei beni posti sulle pira, la presenza di tracce relativa a oggetti in bronzo sui resti ossei combusti, la presenza di offerte in cibo sul rogo funebre) ci fanno comprendere che nelle comunità terramaricole sussistessero differenziazioni in base al rango. All’apice della società si collocava un ceto guerriero a cui si affiancavano alcune donne di rango elevato.

NEI VILLAGGI FORTIFICATI CAPANNE SOPRAELEVATE

Una civiltà che nell’Età del Bronzo, dal 1650 a.C., prosperò 5 secoli nella grande pianura del Po, con una economia basata su agricoltura e allevamento con un raffinato artigianato

Il nome “terramare” deriva dalla denominazione (terra marna) che veniva data al terriccio da concime estratto da alcune collinette che si ergevano per pochi metri nell’area centrale della pianura padana. Quando all’inizio degli anni ’60 del XIX secolo ci si rese conto che queste collinette altro non erano che i resti di abitati dell’età del bronzo la ricerca ebbe un enorme sviluppo e in pochi anni le terramare divennero note in tutta l’archeologia europea.

La nascita del sistema economico e sociale delle terramare è in gran parte l’esito di una colonizzazione che a partire dal 1650 a.C. interessò la pianura padana centrale. I villaggi, che nel periodo più tardo raggiungevano anche 20 ettari di estensione, erano generalmente di forma quadrangolare, circondati da un fossato e fortificati con un argine. Le abitazioni erano spesso sopraelevate su assiti lignei per isolarle dall’umidità del terreno. L’economia si basava su un’agricoltura intensiva, resa più produttiva da sistemi irrigui ottenuti con reti di canali artificiali, principalmente indirizzata verso la cerealicoltura. L’allevamento di ovini, bovini e suini era molto sviluppato, al contrario della caccia che aveva un ruolo marginale. Produzioni artigianali estremamente raffinate, come quella di manufatti in bronzo, evidenziano la presenza di figure specializzate. La società prevedeva probabilmente una differenziazione basata sul rango, dato che non vi sono evidenze di particolari concentrazioni di ricchezza: al vertice della comunità erano i guerrieri e le consorti. Verso la fine del Bronzo Recente (1200-1150 a.C.), probabilmente a seguito di una crisi ambientale determinata da un periodo di siccità e da un eccessivo sfruttamento del territorio, il sistema produttivo delle terramare entra in crisi, innescando un processo di crescente criticità che in alcuni decenni provoca il collasso di una civiltà che aveva per cinque secoli dominato la grande pianura del Po.

Per favorire una conoscenza di questa civiltà che non fosse veicolata solo dai reperti conservati nei musei, il Museo civico archeologico etnologico di Modena ha dato vita, sul modello dei parchi archeologici nord europei, al Parco archeologico e Museo all’aperto della Terramara di Montale, dove è possibile immergersi nel mondo delle terramare. Vi sono riuniti l’area archeologica musealizzata, nella quale è possibile vedere i resti delle abitazioni, e il museo all’aperto che propone la ricostruzione a grandezza naturale di una parte del villaggio realizzata a partire dai risultati degli scavi. Fossato, terrapieno e due case arredate con vasellame, utensili, armi e vestiti che riproducono fedelmente gli originali di 3.500 anni fa sono inseriti in una cornice che ripropone efficacemente l’habitat dell’età del bronzo e consente di aver un’esperienza diretta della vita che si svolgeva in questi villaggi. A rendere interattiva e partecipata l’esperienza uno staff di archeologi propone dimostrazioni di archeologia sperimentale, animazioni e laboratori per bambini e famiglie.

PERCHÉ LA MOSTRA S’INTITOLA “LE URNE DEI FORTI”

Gli scavi a Casinalbo e le ricerche hanno permesso di far riemergere dall’oblio uniforme a cui pareva destinata, la storia di una comunità. Di qui il richiamo ai versi di Ugo Foscolo

La mostra “Le urne dei forti”, che inaugura a Palazzo dei Musei di Modena domenica 14 dicembre alle 17, metterà in scena l’essenzialità di ciò che ci rimane di uomini e donne di oltre 3mila anni fa, facendoli uscire dall’anonimato e restituendoci, se non la storia dei singoli individui, l’organizzazione della comunità.

Viene da qui l’idea di intitolare la mostra richiamando un verso dei “Sepolcri” di Ugo Foscolo, il quale – contrario all’editto napoleonico che imponeva di seppellire i morti al di fuori delle mura delle città e stabiliva che le lapidi dovessero essere tutte uguali per evitare discriminazioni fra i defunti – meditava sul concetto che i valori e gli ideali degli individui potessero sopravvivere alla loro morte rimanendo nella memoria di chi resta. Ma il ricordo potrebbe svanire se le sepolture sono impersonali e lontane dai luoghi dei vivi. “La necropoli della terramara di Casinalbo, a pochi chilometri da Modena – spiega Andrea Cardarelli, che ha diretto gli scavi e con Cristiana Zanasi ha progettato la mostra – pare proprio incarnare i timori del Foscolo: collocata fuori dell’abitato, sembrerebbe voler cancellare nell’uniformità minimalista ogni individualità, condannando quella comunità all’oblio. Invece – conclude Cardarelli – oggi gli studi archeologici dispongono di metodologie di ricerca molto sofisticate che hanno ridato voce a quelle lontane vite, restituendo, se non ogni singola individualità, la storia di un’intera comunità”. “Ribaltare i rapporti di forza fra la straordinarietà del reperto e la straordinarietà delle informazioni che da esso scaturiscono – spiega Cristiana Zanasi, curatrice del Museo civico archeologico – è il forte elemento innovatore di questa mostra, dove all’apparente uniformità dei materiali esposti fa da contraltare la sorprendente ricchezza dei risultati scaturiti in anni di studio”.

La necropoli sarà presentata al pubblico attraverso una ricostruzione che conduce il visitatore a percorrere virtualmente un sentiero dell’area sepolcrale e ad assistere alle cerimonie che vi si svolgevano. Le ricostruzioni, i filmati, le voci che nell’oscurità richiamano un celebre rito funebre dell’antichità, il funerale di Patroclo narrato da Omero, mirano a creare una dimensione fortemente evocativa. Intorno, un percorso espositivo ricco di reperti, immagini, testi e strumenti multimediali racconta i risultati di una ricerca archeologica che rappresenta una nuova svolta nello studio delle Terramare.

Il progetto della mostra, a cura di Andrea Cardarelli, docente di Preistoria e Protostoria all’Università Sapienza di Roma, e Cristiana Zanasi, curatrice del Museo civico archeologico, è stato sostenuto dalla Fondazione Cassa di risparmio di Modena.

Alla mostra si affianca una pubblicazione scientifica della ricerca diretta da Andrea Cardarelli con la collaborazione di Gianluca Pellacani, del Museo civico archeologico di Modena, e il contributo di vari autori dell’Università Sapienza di Roma, del Museo Preistorico Etnografico Luigi Pigorini di Roma e delle Università di Modena e Reggio Emilia e del Salento.

La qualità della ricerca scientifica che ha portato alla realizzazione della mostra ha permesso di ottenere il patrocinio dell’Istituto italiano di preistoria e protostoria,  polo di eccellenza per lo studio della preistoria e protostoria italiana.

DA GENNAIO PROPOSTE DIDATTICHE PER LE SCUOLE

Percorsi guidati con operatori specializzati per le terze, quarte e quinte delle primarie e per le secondarie. Consigliato l’abbinamento con la visita al Parco della Terramara di Montale

Percorsi didattici e visite guidate all’esposizione allestita al museo e alla Terramara di Montale: sono tra le iniziative organizzate e proposte, in particolare per le scuole, in relazione alla mostra “Le urne dei forti” che inaugura il 14 dicembre alle 17 a Palazzo dei Musei di Modena (largo Sant’Agostino).

Così come il Parco museo all’aperto di Montale fa rivivere uno dei villaggi costruiti dal popolo delle Terramare, la mostra avvicina i visitatori alla memoria che un’intera comunità ha affidato alle tombe della necropoli della Terramara di Casinalbo, svelandone i rituali.

“Reperti, ricostruzioni a grandezza naturale, apparati multimediali interattivi, filmati e voci recitanti consentono a quelle urne – spiegano i curatori – di tramandarci la loro memoria anche in assenza di testi scritti e di far sì che la loro storia diventi parte della nostra stessa storia. Ecco perché la proposta didattica collegata alla mostra è intitolata ‘La storia siamo noi’, con l’obiettivo di raccontare come l’archeologia può ricostruire la storia di una comunità di 3.500 anni fa”.

La proposta didattica è articolata in due moduli distinti: per scuole primarie (classi terze, quarte e quinte) e secondarie. Entrambi i percorsi alla mostra sono condotti da operatori specializzati e sono gratuiti per le scuole (costa invece 6 euro a ragazzo l’eventuale abbinamento, consigliato, con la visita alla Terramara di Montale).

Per le scuole primarie il percorso si sviluppa fra la sezione della mostra dedicata alla ricostruzione della necropoli e uno spazio didattico attrezzato per ripercorrere le fasi del rituale funerario e scoprire i risultati delle ricerche archeologiche e antropologiche. Si verrà invitati a osservare i resti delle antiche cremazioni, a simulare la raccolta delle ossa all’interno di un’urna, a sperimentare il peso dei grandi ciottoli che segnalavano le sepolture, a spezzare ritualmente una spada o a mettere in scena una libagione a base non di vino ma di succo di mirtillo.

Per le scuole secondarie, invece, la visita della mostra si fa con particolare riferimento agli aspetti sociali, filosofici e antropologici dei rituali di passaggio correlati alla morte e alla memoria. La proposta è in questo caso costruita attorno ai numerosi richiami al programma scolastico che la mostra suggerisce: dalle citazioni dei poemi omerici, alle diverse atmosfere culturali che hanno prodotto prese di posizioni di intellettuali, filosofi, poeti come Ugo Foscolo, intorno al tema della morte e della sepoltura, fino alle svariate declinazioni antropologiche della cremazione e dell’uso del fuoco come elemento purificatore.

Per correlare la conoscenza delle necropoli a quella dei villaggi delle Terramare gli organizzatori consigliano la visita al Parco archeologico e Museo all’aperto della Terramara di Montale (www.parcomontale.it), a pochi chilometri da Modena.

I percorsi didattici sono disponibili a partire dal mese di gennaio 2015 fino al termine dell’anno scolastico. Per informazioni: tel. 059 2033117. Per prenotazioni: tel. 059 2033101 (da martedì a venerdì dalle 9 alle 12; sabato dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19).

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Info: tel. 059 2033100 (www.comune.modena.it/museoarcheologico) –  tel. 059 2033101 o 059 532020 (www.parcomontale.it)