L’Inps prosegue la sua operazione porte aperte pubblicando una scheda sul fondo speciale dirigenti ex-Inpdai (Istituto Nazionale Previdenza per i Dirigenti di Aziende Industriali).

Prima del 1995 (d.lgs n.181/1997), l’Inpdai garantiva:

1.      prestazioni pari all’80% della retribuzione in 30 anni di contributi, anziché 40 anni come per gli altri lavoratori dipendenti;

2.      trattamenti per molte età di pensionamento doppi a quelli che si sarebbero ottenuti con un sistema come quello contributivo, oggi destinato a tutti i lavoratori dipendenti, dirigenti compresi;

3.      contributi sulle retribuzioni versati in misura inferiore rispetto ad analoghe retribuzioni di lavoratori iscritti al Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti (Fpld).

Il concorso di queste condizioni di favore ha portato l’Inpdai ad un progressivo deterioramento della situazione economico-patrimoniale, con disavanzi crescenti a partire dal 1993[1] che hanno finito per erodere il patrimonio netto fino al suo sostanziale azzeramento all’atto della soppressione ed incorporazione in Inps nel 2003. Il disavanzo economico nell’anno precedente l’incorporazione (2002) ammontava a circa 600 milioni di euro. Da allora la gestione ha evidenziato risultati economici sempre negativi, negli ultimi anni dell’ordine di 3-4 miliardi di euro l’anno. Ciò è dovuto anche al fatto che, dal 2003, la gestione non può beneficiare di nuove iscrizioni.

 

L’Inpdai

L’Inpdai (Istituto Nazionale di Previdenza per i Dirigenti di Aziende Industriali) è nato nel 1929 con il compito di gestire, con autonome forme previdenziali, i trattamenti pensionistici dei dirigenti industriali. Nel 1997 (d.lgs. n. 181) le aliquote di finanziamento, il regime di calcolo delle prestazioni e le altre prestazioni previdenziali sono state allineate a quelle previste dalla riforma “Dini”. L’art. 42 della legge n.289 del 27 dicembre 2002 “legge finanziaria 2003”[2] ha disposto la soppressione dell’Inpdai, con effetto dal 1° gennaio 2003 e il trasferimento di tutte sue strutture e funzioni all’Inps. La gestione è confluita, con evidenza contabile separata, nel grande aggregato del Fondo lavoratori dipendenti (Fpld).

 

Cosa differenzia le pensioni Inpdai da quelle Fpld

·         Fino al 31 dicembre 1996, aliquote contributive più basse rispetto a quelle del Fpld. Ad esempio, nel 1996 l’aliquota contributiva Inps era del 32,70%, mentre quella Inpdai era del 25,35%. A partire dal 1° gennaio 1997 le aliquote sono state uniformate al 32,70% (al netto dell’eventuale contributo dello 0,10% per asili nido).

·         La presenza di un massimale contributivo e di un minimale contributivo.

Il massimale contributivo, fissato in Euro 143.105,99 per il 2002 (ultimo anno di “vita” dell’ Inpdai) indicava il limite massimo oltre il quale la retribuzione non era più soggetta a ritenute previdenziali. Ciò significa, da un lato, che chi percepiva retribuzioni molto alte pagava i contributi solo su una parte di tale retribuzione; dall’altro che la pensione non era calcolata tenendo conto dell’intera retribuzione, ma solo del massimale.

A partire dal 1.1.2003 (con la soppressione dell’Inpdai), la retribuzione imponibile dei dirigenti ex-INPDAI coincide con quella prevista per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti, che non prevede massimale. Tale massimale continua ad applicarsi nel calcolo della retribuzione media settimanale riferita alle anzianità contributive precedenti il 2003.

·         Regole di calcolo della pensione maggiormente favorevoli rispetto a quelle previste dal Fpld:

a.      Aliquote di rendimento più elevate (fino al 31 dicembre 1994) [3];

b.      Fasce retributive di calcolo più elevate (fino al 31 dicembre 2002);

c.       Calcolo in 30mi invece che in 40mi (fino al 31 dicembre 1994).

L’insieme di queste peculiarità consentiva, fino al 1994, la maturazione di un assegno pensionistico dell’80% della retribuzione media settimanale in 30 anni di anzianità anziché nei 40 necessari per gli iscritti al Fpld in caso di retribuzione media settimanale inferiore alla prima fascia di retribuzione pensionabile.

 

Pensioni Inpdai effettivamente erogate e ricalcolate con metodo contributivo

Al 31 dicembre 2014, a fronte di circa 30 mila iscritti, le pensioni ex Inpdai vigenti sono 126.580, per un importo medio annuo di 50.206 Euro. Alla stessa data le pensioni esistenti nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti (al netto delle contabilità separate relative ai fondi speciali, ex INPDAI compreso) sono 8.688.918 per un importo medio annuo di 12.628 Euro.

Le pensioni ex-Inpdai sono generalmente più alte di quelle che sarebbero state erogate se si fosse applicato il metodo contributivo, oggi in vigore per tutti i lavoratori.

Gli istogrammi qui sotto documentano come le pensioni di vecchiaia e anzianità ex-Inpdai in pagamento nel 2015 si rapportano con le prestazioni che sarebbero state erogate applicando il metodo contributivo. Il grafico mostra che l’88% delle pensioni subirebbe una riduzione se calcolata col metodo contributivo, e quasi una pensione su 5 una riduzione superiore al 40%.

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[1] Rapporto per l’anno 2003 del nucleo di valutazione della spesa previdenziale pag. 88 e seguenti

[2] Circolare Inps n.44 del 26.02.2003
[3] In generale, nelle pensioni retributive, il “rendimento pensionistico” della retribuzione media degli ultimi anni, ai fini del calcolo della pensione, è determinato da aliquote percentuali predefinite per legge. Sono previste aliquote di rendimento diverse per diversi scaglioni di retribuzione. Il rendimento del primo scaglione di retribuzione è sempre più elevato e diminuisce progressivamente per gli scaglioni successivi. Secondo le regole Inpdai, sia le aliquote di rendimento sia gli scaglioni retributivi erano più alti di quelli del Fpld ed erano appositamente calibrati per consentire il raggiungimento di una pensione dell’80% della retribuzione media degli ultimi anni in 30 anni invece che nei 40 del Fpld