Il servizio di Ballarò, andato in onda il 9 febbraio, sul tema delle condizioni di lavoro degli operai che operano, tramite false cooperative, negli appalti di manodopera nel settore della macellazione e della lavorazione delle carni in provincia di Modena evidenzia una degenerazione di un sistema produttivo, ma rappresenta solo una parte del problema. Purtroppo, quanto descritto nel servizio, va ben oltre i confini del territorio provinciale e regionale.

Il livello di competitività nel settore dell’industria della macellazione e della trasformazione delle carni è seriamente compromesso, in tutto il territorio nazionale, da fenomeni di vero e proprio dumping contrattuale, o meglio di concorrenza sleale e illegalità, attraverso l’utilizzo di false cooperative impiegate in appalti, con livelli di sfruttamento dei lavoratori e di irregolarità come quelli descritti nel servizio di Ballarò.

Purtroppo quello che il servizio di Ballarò ha “dimenticato” di evidenziare è che da oltre quindici anni la CGIL, unitamente alla Flai (la categoria degli alimentaristi), sta denunciando e segnalando alle competenti autorità e all’opinione pubblica: l’utilizzo di false cooperative in appalti (dove contratti,  sicurezza sul lavoro e diritti sono considerati costi da “eliminare”) che sono da ritenersi, in alcuni casi, di vera e propria somministrazione irregolare di manodopera.

Non solo: proprio in questi giorni le categorie della CGIL dell’agroindustria e della logistica (FLAI e FILT), insieme alla Camera del Lavoro di Modena e alla Cgil Emilia Romagna, stanno seguendo e gestendo la vertenza che interessa oltre 150 soci lavoratori di quelle cooperative, dove la stessa troupe di Ballarò ha fatto le sue riprese e interviste.

La CGIL non cerca i riflettori o le telecamere a tutti i costi, ma non può accettare che passi il messaggio che quei lavoratori siano soli, così come potrebbe apparire dal servizio di Ballarò.

In Emilia Romagna dietro il lavoro che la FLAI e la CGIL stanno portando avanti c’è il contributo dei nostri delegati e delegate sindacali, insieme ai loro colleghi, che rischiano in prima persona per l’attività che svolgono.

La CGIL continuerà a contrastare, segnalando e denunciando a tutte le istituzioni, questi episodi, ma crediamo che non sia più sufficiente. E’ necessaria una maggior determinazione politica, oltre che degli organismi preposti a farlo, nello stroncare una degenerazione che, oltre a compromettere una filiera importante per la nostra economia, ridurre in schiavitù i lavoratori, corre il rischio di compromettere l’esistenza stessa delle imprese serie ed oneste che vogliono competere rispettando le leggi e i contratti di lavoro del nostro Paese.

Una determinazione politica che non si vede in Parlamento dall’anno 2000 quando su queste materie, con una serie di provvedimenti presenti nei  decreti e leggi approvate, si è di fatto dato il via libera a queste forme di intermediazioni di manodopera. Determinazione che è mancata e manca tuttora da parte delle associazioni di rappresentanza imprenditoriale che, da anni, hanno sempre negato l’esistenza di questo fenomeno che colpisce, oltre ai lavoratori, i loro associati.

Anche per queste ragioni come Cgil abbiamo consegnato al parlamento una proposta di legge di iniziativa popolare sugli appalti per restituire legalità, diritti, sicurezza, a chi oggi opera in un mercato “drogato” dalla malavita organizzata e condizionato da chi gioca sulla pelle dei lavoratori.

In Emilia Romagna nello scorso mese di Luglio abbiamo sottoscritto il Patto per il Lavoro, con tutte le istituzioni e le parti sociali regionali, introducendo la clausola sociale nel sistema degli appalti.

In questi giorni stiamo discutendo il Testo Unico sulla legalità e appalti con l’obiettivo di promuovere una legge regionale che tuteli la competizione leale, l’applicazione dei contratti e dei diritti per chi lavora, per alienare dalla nostra economia l’illegalità e lo sfruttamento.

In ogni caso noi continueremo a fare la nostra parte: desideriamo, anzi, pretendiamo di non farlo più nell’assoluta solitudine e che su questa indecenza, lo sfruttamento, non ci si muova a spot ma si costruisca un’azione comune con l’obiettivo di ridare dignità al lavoro e sconfiggere l’illegalità.