Fertility-DayCara Ministra, che pasticcio!
Nell’intervista della ministra Lorenzin apparsa oggi su Repubblica si legge il suo rammarico nell’essere stata strumentalizzata. Dice: “lo scopo della Campagna era la prevenzione” e ci ricorda di occuparsi di salute.
Ma gli slogan “Genitori giovani, il modo migliore per essere innovatori”, “La bellezza non ha età, la fertilità sì” non alludono alla prevenzione di una malattia, piuttosto incitano a condotte che con la salute non hanno nulla a che fare.
Se poi si considerasse che la storia insegna, si rammenterebbe che nemmeno nel Ventennio le politiche di incremento della natalità, ampiamente praticate, produssero l’esito sperato; al contrario, si assistette ad un calo della natalità. La scelta della procreazione ha infatti a che fare con il desiderio, ma anche con la razionalità di valutare il contesto in cui prendersi la responsabilità di diventare madri e padri.
Dunque non si tratta di cambiare solo la Campagna, come dice la Lorenzin: si tratta di prendere seriamente in considerazione il fatto che la nostra società sembra organizzata apposta per rendere molto difficile conciliare maternità, lavoro e aspettative di stabilità economica.
E così siamo in un Paese dove si è generato un triste corto circuito: poche donne al lavoro, troppi minori sotto la soglia di povertà e tante culle vuote.
Il paradosso offensivo di questa campagna sta tutto lì ed è aggravato dal fatto che i sondaggi dicono che gli italiani vorrebbero avere il doppio dei figli che effettivamente hanno.
Dunque il Governo farebbe bene ad archiviare rapidamente quella che, con un eufemismo, definirei ‘l’infelice’ uscita del Fertility day e, sempre per dirla in inglese, ad introdurre la ‘womeneconomics’, ossia una serie di misure per favorire l’economia al femminile: infatti più cresce l’occupazione delle donne, più si crea reddito, più si fanno figli.
Se si vuole affrontare con serietà il tema demografico è da lì che bisogna partire. Ma è più facile fare una campagna sbagliata che affrontare con serietà un tema complesso e dirimente come il lavoro delle donne e le conseguenti misure di welfare.
La nostra città, che non ha atteso soluzioni nazionali per dare risposte nel campo del welfare e dei servizi educativi, a buon diritto, potrebbe candidarsi come interlocutore.
Natalia Maramotti,
assessora alle Pari opportunità