cc_bo_prontosoccorsoLotta tra la vita e la morte C.S., Agente di Polizia Penitenziaria di 44 anni originaria della Campania ed in servizio al Centro di Prima Accoglienza per Minorenni di Bologna, che questa mattina si è sparato un colpo di pistola alla testa mentre era in attesa di essere visitato al Pronto Soccorso dell’Ospedale S. Orsola.

Sgomento Francesco Campobasso, segretario regionale per l’Emilia Romagna del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE: “L’uomo, celibe, in servizio al CPA di Bologna, si era recato in ospedale accusando dei fastidi fisici. Ritenuto da codice bianco, ha chiesto di poter attendere in una saletta del pronto soccorso. Dopo alcuni minuti si è  udito uno sparo ed il personale medico ha trovato il collega riverso su una barella. Si sconoscono i motivi. Ha più di vent’anni di servizio e recentemente aveva partecipato alla prova scritta del concorso interno per vice Ispettore. Davvero non si comprendono le ragioni di questo tragico gesto”.

Attonito Donato CAPECE, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE: “Sono davvero sgomento. Dall’inizio dell’anno sono stati ben 5 i poliziotti penitenziari che si sono tolti la vita. Dal 2000 ad oggi oltre cento sono stati i casi di suicidio nel Corpo di Polizia e dell’Amministrazione penitenziaria. Non sappiamo le ragioni del tragico gesto del collega, che speriamo possa salvarsi. Certo è che è luogo comune pensare che lo stress lavorativo sia appannaggio solamente delle persone fragili e indifese: il fenomeno colpisce inevitabilmente anche quelle categorie di lavoratori che almeno nell’immaginario collettivo ne sarebbero esenti, ci riferiamo in modo particolare alle cosiddette “professioni di aiuto”, dove gli operatori sono costantemente esposti a situazioni stressogene alle quali ognuno di loro reagisce in base al ruolo ricoperto e alle specificità del gruppo di appartenenza. Il riferimento è, ad esempio, a tutti coloro che nell’ambito dell’Amministrazione di appartenenza spesso si ritrovano soli con i loro vissuti, demotivati e sottoposti ad innumerevoli rischi e ad occuparsi di vari stati di disagio familiare, di problemi sociali di infanzia maltrattata ovvero tutto quel mondo della marginalità che ha bisogno, soprattutto, di un aiuto immediato sulla strada per sopravvivere”.

“L’Amministrazione Penitenziaria e quella della Giustizia Minorile non possono continuare a tergiversare su questa drammatica realtà”, conclude Capece. “Non si può pensare di lavarsi la coscienza istituendo un numero di telefono – peraltro di Roma! – che può essere contattato da chi, in tutta Italia, si viene a trovare in una situazione personale di particolare disagio. Servono soluzioni concrete per il contrasto del disagio lavorativo del Personale di Polizia Penitenziaria. Come anche hanno evidenziato autorevoli esperti del settore, è necessario strutturare un’apposita direzione medica della Polizia Penitenziaria, composta da medici e da psicologi impegnati a tutelare e promuovere la salute di tutti i dipendenti dell’Amministrazione Penitenziaria e della Giustizia Minorile. Ora ci auguriamo tutti che il collega in servizio al Centro di Prima Accoglienza per Minorenni di Bologna possa salvarsi. Ma poi si mettano in campo concreti interventi rispetto a questa drammatica realtà”.