Riflettori sui progetti di nuova ricerca d’arte contemporanea, giovedì 23 febbraio alle 18, nella sala conferenze della Biblioteca Delfini di Modena, nel chiostro di Palazzo Santa Margherita, in corso Canalgrande 103. A cura di Galleria Civica di Modena si svolge, infatti, la presentazione dei progetti finalisti alla terza edizione di “Livestudio”, programma annuale di residenza per la promozione delle nuove ricerche dell’arte contemporanea, organizzato da Metronom con il patrocinio del Comune di Modena e la collaborazione di Fondazione Francesco Fabbri, Fotopub Festival di Novo Mesto (Slovenia) e Galleria Civica di Modena.

Una commissione formata da Fabrizia Carabelli, redattrice di InsideArt; Marcella Manni, dell’associazione culturale Metronom; Daniele De Luigi, curatore della Galleria Civica di Modena; Carlo Sala, curatore della Fondazione Francesco Fabbri di Pieve di Soligo e Marco Signorini, artista visivo, docente all’Accademia di Carrara e di Brera; ha selezionato una rosa di progetti finalisti. Sono quelli proposti da Claudio Beorchia, Paolo Brambilla, Alessia Bressan e Laura Tavilla a quattro mani; Luca Massaro e Claudia Petraroli, vincitrice della residenza Livestudio con Camille Lévêque, Metronom Livestudio Award. Le due svilupperanno un progetto espositivo negli spazi Metronom: “Livestudio_display”, dal 28 febbraio al 4 marzo.

“La pregunta de sus ojos” è il progetto di Claudia Petraroli, nato da fascinazione per le immagini acheropite, raffigurazioni sacre e miracolose apparse in seguito a intervento divino e venerate come reliquie. L’artista le interpreta concettualmente come anticipazioni di quelle prodotte da apparecchi tecnologici e preleva una campionatura di materiale tratta dalle sagome riflesse nelle pupille della Nostra Signora di Guadalupe. Attraverso software 3D, intende realizzare un’installazione dalla doppia valenza di ‘impressione tangibile’ materializzata nello spazio e scultura tecnologica, mediazione dell’ipotesi del sacro.

“Dads” è il progetto di Camille Lévêque, dedicato al tema della mancanza della figura paterna in ambito familiare, e la ricostruzione di un ricordo immaginario attraverso l’utilizzo del video e di una collezione di fotografia vernacolare di proprietà dell’artista. Il tema, molto personale, è trattato attingendo a concetti riguardanti, tra gli altri, il complesso di Edipo, la costruzione di un modello di ruolo, la dittatura e il matriarcato.

“Alla mano” è un progetto di Claudio Beorchia che nasce durante la residenza dell’artista in Upstate New York, in cui si è resa necessaria la riflessione sugli spazi aperti e su come prendere familiarità con una nuova esperienza e un nuovo ambiente. Tramite lo studio di unità di misura campione, l’obiettivo è quello di promuovere un’attenzione verso un meta-oggetto poco indagato come il metrino fotografico, e soprattutto di auspicare una riflessione sul ruolo delle immagini fotografiche nei processi di costruzione della conoscenza.

Paolo Brambilla ha ideato un oggetto d’arredamento come sistema di flusso. Una riflessione complessa su come i complementi d’arredo possano venire considerati come insieme di rapporti sullo stato delle cose, e come ogni altra tecnica conoscitiva abbia lo scopo di assicurarsi una serena consapevolezza derivante da chiarezza metodologica e sistemica. Un oggetto non coincide né col prodotto né con le sue parti: è un meccanismo a reazione multipla, coerente al sistema sociale che lo produce, determinato dalle funzioni che deve sostenere.

“Esoscheletri” è l’opera a quattro mani di Alessia Bressan e Laura Tavilla, che nasce dall’incontro dei progetti “Spoglie” di Bressan, che osserva, raccoglie e analizza i frammenti disseminati al nostro passaggio per ricostruire il soggetto attraverso la sua assenza, e “Cadute” di Tavilla che recupera, registra e conserva i frammenti di pelle che perde ogni giorno, per cartografare le tracce di come e cosa siamo stati; creando una mappa, una memoria visiva che resista ed esista per il futuro. Esoscheletri è un gioco di sguardi, una messa in scena in cui il “regista” decide di analizzare il soggetto nella sua ritualità, nei suoi piccoli gesti, nei suoi resti. È così che chi guarda si riconosce nella vita e nell’assenza di chi è guardato: il soggetto si rivela uno specchio inconsapevole che ci permette di entrare in contatto prima con lui e poi con il suo osservatore primario, per accorgersi di fronte a entrambi che, forse, parlano anche di noi.

“Vietnik”, infine, è un lavoro di Luca Massaro in 9 capitoli (2013 – 2016) che nasconde dietro l’apparente semplicità dello studio della parola “persona” e le sue traduzioni, la storia di uno pseudonimo, “Vietnik”, al confine di realtà biografica e finzione schizofrenica. Al pubblico/lettore il compito di decidere quanta fiducia riporre nel medium fotografico e nel narratore inaffidabile, in una meta-narrazione biografica, una storia nella storia dai contorni misteriosi e archetipici.

 

(immagine: © Camille Leveque, from the series, Dads, 2017)