Cosa succede all’organismo di sei astronauti che si imbarcano per una missione di 520 giorni su Marte? A svelarlo è un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna che ha analizzato le dinamiche temporali del microbiota intestinale degli astronauti che hanno partecipato a MARS500, la più lunga simulazione di missione su Marte mai realizzata.

La ricerca – che rientra nel contesto di una collaborazione internazionale a cui partecipano, tra gli altri, l’Università degli Studi della Tuscia e l’Istituto di Tecnologie Biomediche del Consiglio Nazionale delle Ricerche – è la prima al mondo a valutare l’impatto di prolungate condizioni di confinamento sul microbiota intestinale umano.

520 giorni di scarse interazioni sociali, ridotto contatto con l’ambiente, disponibilità limitata di risorse e consumo di cibi per lo più in scatola: come reagisce a tutto questo l’insieme di microorganismi simbionti che a migliaia di miliardi abitano il nostro intestino?

Pubblicato sulla rivista internazionale Microbiome, lo studio mostra che fattori come isolamento e stress forzano le risposte del microbiota, con il rischio di determinare sbilanciamenti nella produzione degli acidi grassi a corta catena che regolano il comportamento dell’intestino. Tutti elementi che possono portare ad effetti negativi su metabolismo e risposta immunitaria delle persone coinvolte.

“Con la più lunga simulazione mai condotta di un volo interplanetario – spiega la professoressa Unibo Patrizia Brigidi – il progetto MARS500 ci ha dato l’opportunità unica di valutare la variabilità temporale del microbiota intestinale umano in un ambiente confinato e controllato, in condizioni di condivisione forzata e prolungata della quotidianità”.

“I risultati della ricerca – continua la docente Unibo Silvia Turroni – confermano la natura dinamica e altamente personalizzata del microbiota intestinale umano, che anche in un ambiente confinato come quello in cui si sono trovati a vivere i sei astronauti è in grado di oscillare tra configurazioni distinte”. Nonostante questa forte variabilità, però, è emerso che, con il passare del tempo all’interno dei moduli di simulazione, gli ecosistemi microbici intestinali dei soggetti coinvolti diventavano via via più simili tra loro. Un’osservazione che sembra suggerire un certo grado di convergenza delle dinamiche temporali del microbiota in ambiente confinato.

“Nelle primissime fasi della missione – continua Simone Rampelli, altro ricercatore dell’Alma Mater coinvolto –, in concomitanza col manifestarsi di uno o più disturbi della qualità del sonno, è stato osservato un aumento di specie appartenenti al genere Bacteroides, importante produttore di propionato, noto per essere maggiormente rappresentato in condizioni di stress”.

Con il passare del tempo, poi, questi primi segnali sono stati confermati, suggerendo importanti variazioni nella produzione degli acidi grassi a corta catena responsabili della regolazione del comportamento dell’intestino. Tanto che, a circa un anno dall’inizio della missione, i sei astronauti registravano alti livelli di stress, con predominanza di pensieri negativi, alti livelli salivari di cortisolo, un aumento del numero di linfociti e delle risposte immunitarie e vari segnali della presenza di infiammazione.

Come fare quindi per prepararsi ai futuri viaggi fuori dall’orbita terrestre? “Queste alterazioni – risponde il ricercatore Unibo Marco Candela – dovrebbero essere monitorate e tempestivamente corrette, puntando a conservare il rapporto di simbiosi mutualistica che condividiamo con l’ecosistema microbico intestinale. Si tratta di un fattore fondamentale per preservare la salute fisica e psicologica degli astronauti e garantire quindi la buona riuscita della loro missione”.