Scompaiono le tradizionali classi sociali, a partire da quella operaia. E’ quanto emerge dal Rapporto Istat presentato oggi secondo il quale “la diseguaglianza sociale non è più solo la distanza tra le diverse classi, ma la composizione stessa delle classi”. In pratica gli operai sono sempre meno quelli impegnati in lavori connessi alla produzione e sempre più “blu collar”, giovani spesso con bassa scolarizzazione impegnati in attività come call center, servizi alla persona, distribuzione commerciale. E’ questa l’analisi contenuta nel Rapporto  che traccia una mappa socio-economica dell’Italia, aggiornando i modelli tradizionali con schemi “multidimensionali”. Per l’Istat “la crescente complessità del mondo del lavoro attuale ha fatto aumentare le diversità non solo tra le professioni ma anche all’interno degli stessi ruoli professionali, acuendo le diseguaglianze tra classi sociali e all’interno di esse”.

Ce ne ha parlato  Tiziano Motti, l’eurodeputato al parlamento europeo della settima legislatura: “La classe operaia e il ceto medio “sono sempre state le più radicate nella struttura produttiva del nostro Paese” ma “oggi la prima – osserva l’Istat – ha abbandonato il ruolo di spinta all’equità sociale mentre la seconda non è più alla guida del cambiamento e dell’evoluzione sociale”. Si assiste quindi a una “perdita dell’identità di classe, legata alla precarizzazione e alla frammentazione dei percorsi lavorativi”. Per l’Istituto ci sono interi segmenti di popolazione che “non rientrano più nelle classiche partizioni: giovani con alto titolo di studio sono occupati in modo precario, stranieri di seconda generazione che non hanno il background culturale dei genitori, stranieri di prima generazione cui non viene riconosciuto il titolo di studio conseguito, una fetta sempre più grande di esclusi dal mondo del lavoro dovuta – sottolinea l’Istituto – anche al progressivo invecchiamento della popolazione”. Ecco che nella nuova geografia dell’Istat “la classe operaia”, che “ha perso il suo connotato univoco”, si ritrova “per quasi la metà dei casi nel gruppo dei ‘giovani blue-collar'”, composto da molte coppie senza figli, e “per la restante quota nei due gruppi di famiglie a basso reddito, di soli italiani o con stranieri”. Anche la piccola borghesia si distribuisce su più gruppi sociali, in particolare “tra le famiglie di impiegati, di operai in pensione e le famiglie tradizionali della provincia”. Secondo l’Istituto “la classe media impiegatizia è invece ben rappresentabile nella società italiana, ricadendo per l’83,5% nelle ‘famiglie di impiegati'”.