Martedì scorso, presso l’Aula Magna dell’ITIS Volta di Sassuolo, circa centocinquanta persone hanno ascoltato l’avvocato Simone Pillon e il neurochirurgo e bioeticista Massimo Gandolfini parlare di un tema attualità, quello del cosiddetto testamento biologico, al centro il testo di legge n. 2801/2017 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, che dopo aver ottenuto una prima approvazione alla Camera è attualmente in corso di esame al Senato.

“Tema delicato dal punto di vista etico e politico, come dimostra il fatto che, pur trattandosi di un’iniziativa di informazione ritenuta importante dalla cittadinanza che ha partecipato nonostante il caldo – afferma una nota degli organizzatori – il Comune di Sassuolo ha negato il proprio patrocinio gratuito all’evento sostenuto da numerose associazioni locali e provinciali e dal Vicariato di Sassuolo.

La statura dei relatori non lasciava dubbi sul fatto che l’argomento sarebbe stato trattato con competenza, sensibilità ed obiettività scientifica, come è di fatto avvenuto. Lo stesso Gandolfini è stato audito presso la Commissione Igiene e Sanità del Senato lo scorso 12 giugno proprio in merito a questo disegno di legge.

Il professore e Pillon hanno affrontato con grande delicatezza le questioni della “buona morte” e della sofferenza così come il disegno di legge le propone, precisando fin dall’inizio che questa proposta non è una blanda disciplina sul fine vita, come spesso viene raccontato, ma introduce decisamente nel nostro ordinamento il concetto di eutanasia.

Il diritto fino ad oggi ha sempre riconosciuto l’indisponibilità del bene vita. Cosa vuol dire che la vita è “inviolabile” (come recita l’art. 2 della Costituzione) e quindi “indisponibile”? Significa che la vita non può esser validamente venduta, alienata, ceduta. Significa che il bene vita è inviolabile da parte di terzi. Il nostro diritto penale, infatti, punisce severamente l’omicidio, prevedendo una pena non inferiore ad anni 21.

Ma il bene vita è inviolabile anche da chi lo detiene: il nostro diritto penale, infatti, riconosce come reato anche l’omicidio del consenziente, punendolo con la pena della reclusione da 6 a 15 anni, e l’istigazione e aiuto al suicidio (carcere da 5 a 12 anni). La volontà del titolare di rinunciare alla propria vita o di togliersi la vita non esclude la responsabilità di chi lo asseconda, uccidendolo o aiutandolo a uccidersi”.

“Eppure – prosegua la nota – il disegno di legge in esame al Parlamento ad una lettura approfondita è assolutamente noncurante della indisponibilità del bene vita, di cui parla la Costituzione, sancendo il diritto a morire, sotto le varie forme del suicidio assistito o dell’eutanasia. In nome di un diritto all’autodeterminazione che pare valere di più dell’essere.

In questo senso, la scelta del termine “disposizione anticipata di trattamento” (d.a.t.) supera la precedente “dichiarazione anticipata di trattamento” rendendo più perentorie le volontà del dichiarante.

Si dice che questo disegno di legge disciplini il consenso informato. Ma il consenso dell’avente diritto, già ampiamente utilizzato nella prassi medica sin dal 1993, deve essere personale (e non delegato), dato in situazione di piena coscienza, libero, chiaro e manifesto, attuale.  Le d.a.t quindi non possono essere una modalità di consenso informato “ora per allora” mancando del requisito dell’attualità e quindi dell’attendibilità, di tale consenso.

Le d.a.t. così disciplinate inoltre non tengono conto del principio di proporzionalità e appropriatezza di cura, che invece costituiscono il cuore dell’esercizio dell’ars medica, in quella fondamentale relazione di “alleanza terapeutica” che la proposta di legge intaccherebbe profondamente, divenendo il medico un mero esecutore della volontà del paziente, profilandosi significative responsabilità a suo carico qualora non vi ottemperi e per l’altro non disciplinando espressamente la possibilità di obiezione di coscienza”.

“Infine – concludono gli organizzatori – i relatori hanno sottolineato che idratazione ed alimentazione sono considerati dalla proposta di leggere terapie anziché cura. “Ove c’è malattia c’è terapia, ove c’è persona c’è cura”, così definisce il manuale “Harrison” molto utilizzato tra i medici. La cura è uno tra i modi per occuparsi e farsi carico dell’altro in quanto persona, mentre la terapia è una mera azione tecnica, che non tiene conto dell’essere persona del malato.

La proposta di legge in discussione in questi giorni al Senato apre dunque a scenari impensati, ma che Paesi come l’Olanda purtroppo già rendono visibili, con uno Stato in cui la volontà del singolo ha un peso specifico più alto della sua stessa vita”.