Il due marzo, a pochi giorni dall’8 marzo, Giornata internazionale delle donne, la Corte d’Appello di Bologna ha reso nota la sentenza che ha limitato gli anni di carcere ad M.C. un cesenate di 57 anni,  assassino  reo confesso di O. M., 46enne moldava,  strangolata nel 2016 nel riminese  dopo appena un mese di relazione tempestosa.

In primo grado al femminicida   era stata chiesta la pena massima dell’ergastolo, poi ridotta con il rito abbreviato a 30 anni. Sedici anni in appello, grazie alle attenuanti generiche: il pentimento, l’alterazione psico-fisica, l’eccesso d’ira, a cui si era aggiunto un tentativo di suicidio…

“Ma per effetto di queste sentenze e per applicazione delle norme che riconoscono la buona condotta e in osservanza del principio che la pena deve essere  poi orientata  verso una funzione rieducativa e di  riabilitazione ,  riadattamento,  sociale , l’uomo  grazie ad un’ulteriore riduzione automatica di un terzo della condanna  sarà fuori dal carcere tra meno di 10 anni. E questo,  a fronte di una vita spezzata  e di una richiesta  iniziale all’ergastolo,  non è accattabile. Non è giusto”: commenta il segretario regionale Emilia-Romagna  del sindacato Ugl,  Tullia Bevilacqua.

I magistrati , perizie alla mano, hanno riconosciuto la  fragilità emotiva dell’uomo violento e valutato positivamente la confessione e il comportamento pre e post processuale.

“E’ proprio questo il quadro giuridico-psicologico improntato all’indulgenza verso l’uomo che si riproponeva alcuni decenni fa ad ogni delitto d’onore, una norma abolita in Italia nel 1981. Ad oggi, con tanti altri casi simili,  dobbiamo purtroppo commentare che prevale ancora  nelle aule di giustizia una  cultura maschilista che concede all’uomo varie   attenuanti anche quando s’è macchiato di  un reato gravissimo come l’ omicidio. La sentenza della Corte d’appello di Bologna segna a nostro parere un arretramento rispetto alla cultura ormai consolidata che tutela , o dovrebbe tutelare ,  le donne dai pregiudizi umilianti e da violenze fisiche”: aggiunge  Tullia Bevilacqua.

“Sentenze come questa rischiano di vanificare il duro lavoro che associazioni e sindacati, per primo l’Ugl, svolgono ogni giorno da anni per costruire un modello istituzionale che tuteli il ruolo delle donne nei posti di lavoro, nella società ed in famiglia , per  garantire loro (che fra le mura domestiche assicurano ancora   l’attività principale di assistenza e cura dei figli e degli anziani) maggiori diritti e un futuro più sereno, libero dalla violenza ,  dalle sottomissioni o dagli stereotipi”: aggiunge ancora il segretario regionale Emilia-Romagna  del sindacato Ugl,  Tullia Bevilacqua.

Proprio quest’anno lo slogan dell’Ugl per l’8 marzo è:  “Non chiamatela Festa, ma Giornata internazionale del lavoro femminile”.

“Per l’8 marzo , come ogni anno  per tutto l’anno, c’è il massimo impegno dell’Ugl per rendere le donne maggiormente protagoniste della vita lavorativa. Ma al contempo c’è poco da festeggiare se si pensa che a tutt’oggi  in Italia una donna viene uccisa ogni 72 ore, 3.100 uccise dal 2000 al 2018,  e   i femminicidi rispetto al totale degli omicidi commessi nel nostro  Paese sono aumentati del 37,6% l’anno scorso rispetto al 2017. Un fenomeno grave – in Emilia-Romagna  quasi  l’8% dei casi – che non vorremmo trovasse una sponda ‘buonista’,  ripercussioni negative per il ruolo delle donne, anche sul sistema giudiziario,  oltre che nella società sempre più in crisi di valori”: conclude il segretario regionale Emilia-Romagna  del sindacato Ugl,  Tullia Bevilacqua.