Un mercato degli appalti pubblici regolato in base a norme semplici, chiare e trasparenti risulta indispensabile per ridare slancio all’economia, favorendo, allo stesso tempo, una robusta crescita.

Può sembrare un’affermazione banale ma, mai come ora, invece diventa importante sottolinearlo. Infatti, è necessario che la normativa sui lavori pubblici sia garanzia di trasparenza, efficienza e possibilità di selezionare le imprese più affidabili, premiandone, ad ogni livello, la capacità e la qualità, per garantire la migliore competizione possibile, tutelare l’interesse pubblico e vedere opere concluse e non solo appaltate.

In questo contesto, occorre garantire gli aspetti della “filiera corta”, riconoscendo il ruolo fondamentale delle imprese del territorio come attori centrali per lo sviluppo economico e volano della coesione sociale e del benessere complessivo della comunità. Per fare questo e per poter avviare una effettiva azione di vero “sblocco” del settore, ci sono alcune condizioni imprescindibili da realizzare.

Il decreto “Sbloccacantieri” nelle intenzioni avrebbe dovuto contenere disposizioni urgenti per favorire la crescita economica e dare impulso al sistema produttivo del Paese. Dalla sua lettura, invece, emerge forte la preoccupazione rispetto alle misure adottate.

Per questo, le organizzazioni modenesi del settore edile, Alleanza Cooperative, Ance Modena, Cna, Confapi, Legacoop produzione e servizi e Lapam, confidano nell’esame parlamentare del decreto “Sbloccacantieri” (n.32/2019) perché quella è la sede per introdurre modifiche e correttivi che rendano il testo più aderente ai bisogni degli operatori.

 

Procedure per gli appalti

Con lo “Sbloccacantieri”, la procedura negoziata, che prevede la chiamata di almeno tre imprese (a rotazione), è consentita solo fino a 200 mila euro. Viene ampliato il sistema definito del “minor prezzo”, applicandolo ai lavori fino a cinque milioni di euro (soglia Ue). È vero che per i lavori tra 1 milione e 5 milioni la procedura dell’offerta economicamente più vantaggiosa (Oepv) è possibile ma fortemente ostacolata dall’obbligo, a carico della pubblica amministrazione, di “giustificare” in modo dettagliato la scelta.

La richiesta delle associazioni modenesi è di prevedere l’affidamento diretto con l’acquisizione di tre preventivi fino alla soglia di 200.000 €. e ripristinare la procedura negoziata fino a 1 milione di euro, con possibilità di ricorrere all’offerta economicamente più vantaggiosa senza dover giustificare la scelta.

Raggiungere questi obiettivi è essenziale perché, il sistema del “minor prezzo”, applicato così di fatto al 95% degli appalti in Italia, se da una parte può agevolare la partecipazione delle micro e piccole imprese, dall’altra non deve pregiudicare una maggior qualità nell’esecuzione dell’opera.

Da evidenziare che il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa (Oepv) prevede che l’impresa possa proporre migliorie al progetto, il tutto a proprio carico: è un onere per l’azienda, che deve mettere in campo tutte le proprie capacità, ed è più impegnativo per il committente che deve fare una valutazione non solo sul costo ma sul valore aggiunto dell’opera.

Senza demonizzare l’utilizzo del criterio del “minor prezzo” fino a un milione, che, in presenza di un progetto esecutivo qualificato, favorisce la partecipazione delle piccole imprese, tale criterio non può comunque diventare unico riferimento per opere di importo fino ai 5 milioni e mezzo:  si riafferma pertanto la necessità di libera scelta del committente per l’eventuale ricorso all’offerta economicamente più vantaggiosa (Oepv), che tutela e garantisce l’esecuzione di opere più rispondenti alle esigenze della collettività.

È importante ribadire che il sistema del minor prezzo comporta la presentazione di un semplice ribasso rispetto ai prezzi di appalto: risulta vincente l’impresa la cui l’offerta si avvicina maggiormente, salvo qualche minimo correttivo, alla “media delle offerte pervenute”. Così, l’aggiudicazione è una vera lotteria.

Il risultato è che con questo sistema non si premiano le imprese di qualità, strutturate che creano sana e vera occupazione. Nessun imprenditore serio potrebbe pensare di affidarsi alla sorte per procurare lavoro alla propria impresa investendo denari propri per farla crescere e nemmeno dovrebbe farlo la pubblica amministrazione che intendesse perseguire l’interesse della comunità.

Subappalto

Sotto questo profilo, il decreto “Sbloccacantieri” è intervenuto positivamente su questi aspetti:

– partecipazione ai lavori come subappaltatori anche alle imprese che hanno partecipato alla gara senza risultare affidatarie;

– abolizione dell’obbligo di nominare una terna di subappaltatori già in fase di gara.

Sono pienamente condivisibili queste modifiche, elaborate in un’ottica di migliore concorrenza in quanto fugano gli evidenti dubbi di compatibilità di tale disciplina nazionale con quella propria delle direttive europee, appunto a favore della libera concorrenza.

È positivo inoltre l’incremento della quota dei lavori che può essere affidata in subappalto, rispetto al 30% precedentemente imposto.

Invece, non può essere condiviso il ritorno, già previsto nella prima formulazione del Codice, ad una facoltà delle stazioni appaltanti di prevedere o meno il subappalto. Al contrario, le direttive si basano sul principio secondo cui occorre favorire una maggiore partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) agli appalti pubblici, e il subappalto è uno dei modi in cui tale obiettivo può essere raggiunto.

Split Payment

Si chiede il superamento dello split payment (scissione dei pagamenti della PA), che è stato introdotto dalla Legge di Stabilità 2015: di fatto significa che lo Stato non paga l’Iva alle imprese, che invece devono pagarla ai propri fornitori. Le aziende si trovano così ad avere un credito nei confronti dello Erario, senza avere tempi certi su quando questo verrà rimborsato. Si genera così una enorme sofferenza finanziaria a carico delle imprese, che oggi rappresenta una mera stortura.