Da oggi sarà difficile avere la certezza di mangiare prosciutti o salami ottenuti da suini allevati in Italia, in quanto non è più obbligatorio indicare nell’etichetta l’origine degli animali. Così corriamo il fondato rischio di comprare prodotti che si pensa possano essere ‘made in Italy’, mentre provengono invece da qualsiasi paese dell’Unione europea e anche dalla Turchia.

Quindi, negli scaffali troviamo, ad esempio, salumi ottenuti da maiali allevati in Lituania, o in Estonia, o in Grecia, o a Malta, che possono essere facilmente spacciati per nostrani.

Lo sottolinea la Cia-Confederazione italiana agricoltori che critica il decreto del ministero delle Attività produttive sulla disciplina della produzione della vendita di alcuni prodotti di salumeria. Esclusi, ovviamente, i prodotti con indicazione d’origine Dop e Igp.

Per la Cia questo provvedimento, che va a colpire prodotti come il prosciutto cotto, quello crudo e il salame, è contrario alle politiche di difesa dei prodotti tipici nazionali, creando anche problemi alle stesse Dop e Igp che in questo settore hanno una rilevante importanza (vedi i prosciutti di Parma, di San Daniele, Toscano, di Norcia, il salame Brianza, i salamini italiani alla cacciatora, la soppressata di Calabria).

Quindi, secondo la Cia, si può venire a creare una situazione di grave confusione tra i consumatori italiani che sono impossibilitati a verificare la provenienza della materia prima con cui sono prodotti i salumi.

La Cia ha di conseguenza chiesto al ministero delle Politiche agricole, proprio per rafforzare la strategia di difesa delle produzioni ‘made in Italy’ (che già subiscono pesanti attacchi dall’agropirateria sui mercati internazionali), un preciso intervento per la immediata revisione del provvedimento e per un’effettiva omogeneizzazione della normativa sull’etichettatura dei prodotti agroalimentari.