A tavola gli italiani hanno consumato di più per il cenone di San Silvestro e per il primo giorno del 2006 che per festeggiare il 24 e 25 dicembre. Nel primo caso si è speso in prodotti alimentari oltre 1 miliardo 700 milioni di euro, mentre nel secondo 1 miliardo 565 milioni di euro.

A rilevarlo è la Cia-Confederazione italiana agricoltori per la quale, tuttavia, nei confronti delle festività del 2004 si è avuta una flessione complessiva del consumo alimentare del 2,8 per cento.

Tra il 31 dicembre e il primo gennaio a dominare, comunque, sono stati i prodotti “made in Italy”. Più lenticchie, cotechini, zamponi e pollame che ostriche, caviale e salmone (meno 15,5 per cento rispetto ad un anno fa); più frutta (fresca e secca) e ortaggi delle nostre terre che ananas, banane, avocado, mango (meno 20,8 per cento); più spumante nostrano (Asti e Prosecco in testa) che champagne (meno 16,7 per cento).

Ed è proprio lo spumante -afferma la Cia- a registrare un inatteso, quanto sorprendente, exploit. Tra Natale e Capodanno si sono stappate più di 80 milioni di bottiglie (32 milioni nella sola notte di San Silvestro) contro le 78,5 milioni dello scorso anno. Anche per il vino (più rossi rispetto ai bianchi) si è avuta una buona tenuta dei consumi (146 milioni di bottiglie), anche se leggermente inferiori a quelli dell’analogo periodo festivo del 2004.

Complessivamente, per festeggiare l’arrivo del nuovo anno, tra spumante e vino -rimarca la Cia- si è speso 628 milioni di euro contro i 484 milioni di euro che si sono registrati per lo scorso Natale. Il tutto per un cifra di 1 miliardo 112 milioni di euro. Nel 2004 la spesa globale per brindare e innaffiare i cibi delle feste è stata pari a 1 miliardo 114,5 milioni di euro.

A diminuire -segnala ancora la Cia- sono state invece le vendite di frutta e verdure, scese del 4,7 per cento, confermando un trend consolidatosi lungo tutto il 2005. Causa principale i rincari ingiustificati al dettaglio e all’ingrosso, mentre sui campi l’andamento è stato completamente inverso con un calo dei prezzi praticati dai produttori agricoli che si è attestato attorno al 10-11 per cento. E questo, insieme ad un costante e vertiginoso aumento dei costi di produzione e previdenziali, ha contribuito ad un taglio netto del 9,6 per cento dei redditi degli agricoltori.

Attenzione particolare -sottolinea la Cia- gli italiani l’hanno riservata ai prodotti tipici e di qualità che costituiscono un grande patrimonio per il nostro Paese. Non solo, però, prodotti Dop, Igp e Doc, ma anche quelli che hanno tradizioni profonde e non hanno ancora avuto un riconoscimento europeo. C’è, infatti, una ricerca, da parte dei nostri connazionali, di prodotti di “nicchia”, frutto della paziente e secolare opera dei nostri agricoltori. Prodotti acquistati nei tantissimi mercati che sono stati allestiti in questi giorni di festa.

Quindi, anche a Capodanno, sulle nostre tavole abbiamo trovato vini, extravergini di oliva, formaggi, prosciutti, olive, salumi, legumi, castagne, frutta secca e fresca a denominazione d’origine. Si va dal prosciutto di Parma a quello di San Daniele, dal culatello di Zibello al capocollo, alla soppressata di Calabria, allo zampone e al cotechino di Modena, dallo speck dell’Alto Adige al Lardo d’Arnaud della Val d’Aosta, dal Gorgonzola al Parmigiano Reggiano, al Grana Padano, al Pecorino Romano e Sardo, alla mozzarella di bufala campana al caciocavallo Silano, dalle arance rosse di Sicilia alla nocciola del Piemonte, dalla lenticchia di Castelluccio ai capperi di Pantelleria, alla nocciola di Giffoni, dall’olio di oliva di Brisighella a quelli di Canino, del Cilento, della Riviera Ligure, della Sabina, dell’Umbria, della Puglia e delle Valli Trapanasi, al pane di Genzano e di Altamura.