La notizia apparsa in questi giorni in grande evidenza sulla stampa locale del nuovo arresto di El Idrissi (il magrebino del famoso caso di sospetto pestaggio da parte delle forze dell’ordine) per spaccio, dovrebbe far riflettere su tanti aspetti e non solo sul solito tema del ghetto di Braida: in primis questa è una ulteriore dimostrazione, ammesso ce ne fosse bisogno, della funzione solo di contenizione delle nostre carceri mentre che dovrebbero essere istituti rieducativi, se ne è parlato durante la discussione sull’indulto poi fatto l’indulto, gabbato lu santo.


Sinceramente ogni giorno di più siamo sconcertati da quanto succede a Sassuolo e dintorni: si vuole dare del mostro ad un disgraziato probabilmente disadattato invece di analizzare i problemi.
Partiamo dallo spaccio di droghe: perché si parla sempre dei pusher di strada e non si cercano i collegamenti con “i piani superiori” con chi davvero introita cifre favolose dal traffico di droga perché sinceramente sarebbe la prima volta che i pusher di strada si autogestiscono i proventi.


Si parla a più riprese di una presenza sul territorio di organizzazioni mafiose, ma mai si fanno i collegamenti dovuti, se esiste spaccio, se esiste la mafia non esiste nessun nesso tra le due cose?
Certo è molto più molesto l’africano che di notte importuna le macchine di passanti offrendo loro dosi rispetto a chi si siede nel miglior ristorante con la camicia di seta, la fuoriserie parcheggiata di fronte e paga con soldi grondanti del sangue degli spacciati.


La tendenza, purtroppo spesso anche nell’opinione pubblica è quella di far combaciare l’immigrato con lo spacciatore e considerarlo la causa dei mali, più complicato e decisamente più rischioso sarebbe cercare chi muove da dietro le quinte i fili dei galoppini che aspramente condanniamo.
Ma nessuno si accorge che in mezzo agli stranieri esistono anche tanti onesti lavoratori e che sono i primi vessati da questa situazione? O forse si preferisce in questa maniera negargli parte dei leciti diritti come lavoratori?


Della sicurezza sul lavoro si parla poco anche quando muoiono lavoratori se poi sono clandestini ancora meno perché vorrebbe dire ammettere che tanti immigrati sono qua per lavorare poi qualcuno spaccia o stupra come purtroppo fanno anche alcuni italiani. E’ triste vedere come ben poche persone o organizzazioni abbiano espresso solidarietà al clandestino morto sul lavoro qualche settimana fa, le stesse organizzazioni pronte a solidarizzare con chiunque sembri danneggiato dagli immigrati.


In politica e nel sociale si può far tutto meno che ammettere di sbagliare e per questo non si dirà mai se non tra decenni che forse qualcosa nel nostro sistema è sbagliato che se un El Idrissi qualsiasi esce di galera e spaccia il giorno dopo forse non gli sono state date alternative, si preferisce puntare sulla mentalità criminale del singolo per non vedere le lacune della nostra società. E sia chiaro che non vogliamo assolutamente difendere l’operato di questa persona o di chi delinque ma se non arriviamo alle cause non riusciremo nemmeno a curarne l’effetto; questa è una precisazione dovuta, visti i tempi.
Se c’è spaccio vuol dire che c’è richiesta di mercato, se c’è richiesta di mercato vorrà dire che esiste del disagio, ma su questo tema si glissa perché scoprirebbe i problemi della nostra società e qualcuno o forse tanti dovrebbero assumerne le responsabilità.


Per quanto riguarda poi le pretese scuse per chi “ha difeso” El Idrissi vorremmo precisare che questo è davvero un aspetto paradossale: Se esiste il sospetto, supportato da immagini che le forze dell’ordine abbiano esercitato violenza su chiunque è giusto chiedere lumi, proprio in nome della legalità e dello stato di diritto, concetti evidentemente lontani alle forze della destra che per fortuna del popolo italiano non governano più.




Sergio Anceschi per il “Cantiere per il bene comune” di Sassuolo

Walter Telleri per i Verdi di Sassuolo