Intervento del presidente del Consiglio Comunale Gianni Sofri in occasione del V anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle di New York.


“Oggi è il quinto anniversario dell’11 settembre 2001. L’ho commemorato più ampiamente stamattina nei giardini di via Riva Reno, dove un cippo ricorda quel tragico evento. Qui intendo soprattutto rendere omaggio alle vittime
dell’11 settembre: 2973, secondo quella che mi sembra essere la valutazione più recente. Americane nella grande maggioranza, ma anche di 36 altri Paesi (quattro erano italiani). Tra essi, uomini e donne di tutte le età, bambini – le cui biografie, a volte corredate di foto – sono state ricostruite pietosamente in siti internet, come quello della CNN, che sono veri e propri memoriali; tra queste persone, dicevo, ce ne sono alcune (e non soltanto tra i vigili del fuoco e gli altri soccorritori) che si sono
segnalate per il loro eroismo in quei momenti fatali, o nei momenti e giorni successivi. Ma nella maggior parte dei casi, si trattasse di
personaggi importanti o di gente comune, di ordinary people, ciò che colpisce e ancora oggi angoscia è l’insieme di casualità, ingiustizia,
inutilità e orrore di quelle morti, di quelle vite innocenti troncate. E’ così in ogni atto di terrorismo, ma in questo caso l’angoscia è
moltiplicata dalla dimensione. Ricordare quelle vittime, come le vittime di Madrid, di Londra, di Bali, di ogni luogo in cui ha agito la violenza
fanatica e disumana del terrorismo, è un atto doveroso non solo per loro, ma anche per noi e per i nostri figli, perché non accada ciò che lo storico britannico Niall Ferguson ha scritto in un articolo in cui immagina di essere nel 2031, e cioè che in quell’anno i giovani, delle Twin Towers, non
ricordano più nulla. Per chi frequenti i siti internet, ma anche librerie e biblioteche e
riviste, c’è ancora oggi un altro elemento che aumenta l’amarezza, e che a me pare un ulteriore oltraggio a quelle vittime: la persistente presenza di
ipotesi fantasiose e paranoiche, tipiche della teoria del complotto e di una concezione della vita e della storia fondate sul sospetto e sulla
diffidenza. Non che non ci siano punti oscuri nella ricostruzione sia di quanto accadde l’11 settembre sia, soprattutto, di azioni che vennero
compiute o non compiute negli anni precedenti. Ma è veramente impressionante e doloroso, per me almeno, leggere in un articolo di Martin Amis quanta parte dell’opinione pubblica, non solo nei Paesi islamici, ma negli stessi Stati Uniti e in Europa (Italia compresa, aggiungo),
attribuisca tuttora i tragici eventi dell’11 settembre di cinque anni fa a progetti insani e machiavellici del Mossad o dell’Amministrazione americana
o di sue parti. Non intendo, ripeto, ignorare i dubbi e le perplessità, oggi fatti propri, in parte, dallo stesso Congresso americano: ma trovo
incomprensibile che essi occupino, in ricostruzioni ampiamente diffuse, un ruolo di primo piano, che cancella e riduce al nulla verità evidenti. Tra
le cui prove – ma non è certo la prima né la sola – abbiamo oggi l’ultimo video diffuso da al-Jazirah, nel quale Bin Laden abbraccia due dei più
importanti attentatori dell’11 settembre. L’11 settembre ci appare sempre più come una di quelle date che gli storici definiscono epocali, tali da segnare veri e propri crinali nella storia:
al punto da farci apparire il mondo del prima 11 settembre più lontano (e quasi nostalgicamente rimpianto) di quanto non sia realmente, e persino di
idealizzarlo, come non meriterebbe. E tuttavia è certo che il mondo, e soprattutto il nostro mondo, sia profondamente cambiato, e in peggio,
secondo linee che apparivano drammaticamente prevedibili già la sera dell’11 settembre 2001. E’ un mondo, oggi, più dominato dalla paura e dall’incertezza, da un disagio che tocca fortemente la nostra vita quotidiana, a cominciare dal viaggiare, questa grande risorsa della libertà. Un mondo nel quale i problemi della sicurezza, a tutti i livelli,
sembrano esiliare e nascondere quelli della lotta alla fame, alla miseria, al degrado ecologico del nostro pianeta. Minacciando e mettendo in forse,
oltre tutto, alcuni di quei valori di libertà, di democrazia, di diritti umani e civili, per i quali soprattutto la nostra cultura merita di essere
difesa con ogni mezzo. E ancora, si pensi alle ondate di vecchio e nuovo razzismo che tornano a percorrere minacciosamente le nostre società.
Per tutto questo è importante sapere che viviamo una situazione di crisi destinata a durare molto tempo, e particolarmente difficile perché non ci troviamo di fronte a un nemico ben individuato, ma atomizzato e mimetizzato. Un nemico che non ha un suo luogo, ma tanti luoghi, che spesso sono anche quelli in cui noi stessi viviamo. Tutto ciò esige una grande
battaglia culturale, che sarà lunga e difficile. Esige anche che si trovino soluzioni a quei problemi (il Medio Oriente in primo luogo) che non
originano il terrorismo islamico, come qualcuno, con analisi superficiali, vorrebbe, ma ne facilitano i successi d’opinione e il consenso. Per questo,
pur avendo una visione molto pessimista di questa fase storica, io mi impongo di avere fiducia in alcune cose che stanno accadendo, in una faticosa rivitalizzazione dell’ONU, in un ruolo più importante dell’Europa (e del nostro Paese), in un miglioramento delle relazioni tra Europa e
Stati Uniti, decisivo per la salvaguardia dei valori occidentali.
Lasciatemi finire con un segnale di speranza. L’11 settembre, per una
curiosa coincidenza, è anche un centenario. E’ il centenario di un celebre discorso che Gandhi tenne a Johannesburg, per l’appunto, l’11 settembre 1906. In quel discorso, per la prima volta, Gandhi (anche se non usò ancora
la parola) si ispirò a quello che sarebbe stato il principio più importante della sua azione nonviolenta: il Satyagraha, che si può tradurre come “la forza derivante dalla ferma adesione alla Verità”. A noi, cent’anni dopo, il Satyagraha vuol ricordare come sia possibile cambiare, trasformare pezzi di mondo non usando la violenza, o usandola con controllata e prudente
parsimonia. In tempi così duri, e venendo da uno dei grandi maestri dell’ultimo secolo, questo centenario mi pare oggi di buon auspicio”.