In apertura di seduta del Consiglio Comunale il presidente Gianni Sofri ha ricordato i professori Lucio Gambi e Piero Dagradi, recentemente scomparsi. E’ seguito un minuto di silenzio del Consiglio Comunale.


Questo l’intervento.
“E’ morto pochi giorni fa a Firenze Lucio Gambi. Aveva 86 anni, essendo nato a Ravenna nel 1920. E’ incredibile che quasi nessun organo di stampa lo abbia ricordato (tranne, mi pare, l’Unità e Il Riformista), perché Gambi è stato certamente il più importante geografo italiano dell’ultimo secolo, e soprattutto il più innovativo. Da noi dev’essere ricordato anche per i molti legami che aveva con la nostra città e la nostra regione. Ne ricorderò solo qualcuno fra i tanti. Gambi ha insegnato Geografia politica
ed economica nel nostro Ateneo dal 1975 al 1990, anno in cui andò in pensione (ma proseguendo un’attività instancabile di studioso e di organizzatore di studi altrui che gli era connaturata). Fu anche, per alcuni anni, Presidente del Corso di laurea in storia e Direttore del Dipartimento di discipline storiche. Inoltre, fu il primo Presidente
dell’Istituto regionale dei beni culturali, che lui stesso aveva contribuito a fondare. Era membro dell’Accademia dei Lincei. Era,
soprattutto, un gran gentiluomo affabile, sempre disponibile a rispondere alle richieste di colleghi come del più ingenuo tra gli studenti. Chi voglia ricordare Gambi dovrà in primo luogo riferirsi alla sua straordinaria cultura, che spaziava in campi anche molto diversi e lontani dalla sua disciplina. Questa sua caratteristica non fu senza influenza nell’orientarne le ricerche (in tempi in cui la cosa non era ancora venuta di moda) verso una sorta di trasversalità interdisciplinare, nella tensione continua a instaurare rapporti con la letteratura e la storia dell’arte, la demografia e la sociologia, la geografia fisica e la geologia. Ma, soprattutto, Gambi era fautore deciso di una stretta alleanza tra geografia e storia. E Una geografia per la storia è per l’appunto il titolo di un suo celebre volume einaudiano del 1973, preziosa raccolta di saggi metodologici e non solo. Né va dimenticato che quando arrivò a insegnare a Bologna (dopo averlo fatto per qualche anno a Messina e alla Statale di Milano), Gambi
scelse di collocarsi tra gli storici, più che tra i geografi. E’ noto che negli anni venti si celebrò in Italia (anche nell’insegnamento medio) un
matrimonio tra storia e filosofia, presto rivelatosi assai meno fruttuoso di quello francese tra storia e geografia. Ma Gambi non si limitò a
introdurre in Italia il modello francese dei Bloch e dei Febvre: vi aggiunse applicazioni assai originali e un’attenzione metodologica
straordinaria, volta a mettere in discussione lo statuto di una disciplina da tempo in crisi, che si trascinava ormai stancamente come disciplina
puramente (sono parole sue) “descrittiva.e misurativa di oggetti e fenomeni”.
Questa opera di svecchiamento della geografia italiana, che ne fece il Padre riconosciuto della Nuova geografia, fu da lui affidata sia ai
numerosissimi scritti e interventi metodologici, sia –e forse più ancora- alle sue ricerche, su cui tornerò. Gambi fu anche un grande innovatore
nella lettura del paesaggio, sia che vi ci camminasse dentro e attraverso, spesso seguito da amici e studenti devoti, sia che lo esaminasse in immagini, fotografie o dipinti. Perché nel paesaggio questo geografo-storico sapeva scorgere, oltre e accanto agli elementi naturali (mai trascurati!) ogni sia pur tenue traccia del passaggio degli uomini, della loro operosità nel corso del tempo. E a leggere in tal modo il paesaggio Gambi insegnò a generazioni di allievi. Quanto ai molti problemi di metodo da lui affrontati, un posto speciale fu occupato da una ricca e complessa definizione del concetto di regione, nel quale Gambi insegnò a distinguere fra gli aspetti culturali, storici, economici, strettamente geografici: non sempre, e non necessariamente coincidenti con quelli istituzionali. Né va dimenticato che questo avveniva
in anni in cui una vasta discussione politica (cui Gambi dette importanti contributi) preparava l’attuazione delle Regioni, dopo un lungo periodo che aveva visto la Costituzione disattesa.
Mi resta da ricordare almeno alcune tra le sue opere più importanti, non senza avvertire che Gambi era uno di quegli studiosi che non si realizzano appieno negli scritti, ma che molto affidano a conversazioni private, lezioni, testimonianze ahimè più volatili se l’affetto degli allievi non le raccoglie (e in qualche caso so che questo è fortunatamente avvenuto).
Eccole, le opere: Innanzitutto, oltre al già citato Una geografia per la storia, vera e propria bibbia della Nuova geografia, il prezioso saggio su I valori storici dei quadri ambientali, cui spettò l’onore, nel ’72, di aprire il primo volume della Storia d’Italia Einaudi. E poi, ancora, le grandi
monografie sulla Calabria (1971) e su Milano (1999). Non rendo più lungo questo elenco di titoli, che esigerebbe pagine e pagine di una vastissima bibliografia. L’attività di Gambi spaziava infatti dalla storia del pensiero geografico a quella degli insediamenti rurali (soprattutto in Emilia-Romagna), ai problemi della cartografia antica e moderna (insieme allo storico dell’arte Antonio Pinelli studiò ad esempio, in un’opera monumentale, la Galleria delle Carte geografiche del Vaticano). Senza
contare i numerosissimi interventi sull’attualità, su temi come il degrado, la distruzione di antichi ambienti, la crescita disordinata delle periferie
cittadine. Oggetto, questi temi, non solo dei suoi personali interventi, ma anche di convegni e mostre di cui Gambi fu sempre, fin quasi agli ultimi
anni, infaticabile organizzatore o suggeritore. Tutto ciò nasceva anche dall’idea di una funzione sociale della disciplina, tale da farla uscire da
una ristretta accademia, da aule polverose e senza contatti con la realtà. Tutto ciò fece di Lucio Gambi non solo un grande geografo, ma un intellettuale fra i più lucidi e seri e originali dell’Italia contemporanea. Una persona che sarebbe sommamente ingiusto dimenticare o
non onorare quanto merita.

Una triste coincidenza ha voluto che negli stessi giorni scomparisse un altro professore emerito della nostra università, lui pure geografo, Piero
Dagradi. Nato nel 1926, Dagradi aveva insegnato a Pavia, poi, per molti anni, presso la nostra Facoltà di Lettere. Era socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Bologna. Tra le sue molte opere vanno ricordate un’Introduzione alla geografia umana, uscita per la prima volta nel ’79, rinnovata in una nuova edizione nel ’95, e una recente Geografia
della popolazione (2006). Il lavoro che gli aveva dato notorietà era stato, agli inizi degli anni sessanta, un’ampia ricerca sulla casa rurale negli
Abruzzi. A dimostrazione di interessi non solo concentrati sull’Italia, nel ’93 aveva pubblicato, insieme a Franco Farinelli, una Geografia del mondo arabo e islamico per la collana “Il mondo attuale” dell’UTET.

Ai familiari e agli allievi di Lucio Gambi e di Piero Dagradi vanno le condoglianze del Consiglio comunale. Vi prego ora di unirvi a me in un minuto di silenzio”.