Ecosistema Rischio è l’indagine di Legambiente e Dipartimento della Protezione Civile per conoscere la situazione dei comuni italiani a rischio idrogeologico. L’indagine è stata realizzata nell’ambito di ‘Operazione fiumi 2006’, campagna nazionale di informazione e prevenzione dal rischio idrogeologico.


L’Entità del dissesto in Emilia Romagna
Sono 302 i comuni dell’Emilia Romagna a rischio idrogeologico individuati dal Ministero dell’Ambiente e dall’Unione delle Province Italiane nel 2003, ben l’89% del totale (di cui 10 a rischio frana, 128 a rischio alluvione e 164 a rischio sia di frane che di alluvioni).
Un dato che evidenzia bene la fragilità di un territorio dove bastano ormai semplici temporali, per quanto intensi, a provocare nel migliore dei casi allagamenti e disagi per la popolazione. Questa fragilità è attribuibile ad un uso del territorio e delle acque che troppo spesso non considera le limitazioni imposte da un rigoroso assetto idrogeologico. Se osserviamo le aree vicino ai fiumi, salta agli occhi l’occupazione crescente delle zone di espansione naturale con abitazioni ed insediamenti industriali e zootecnici. Gli interventi di messa in sicurezza continuano spesso a seguire filosofie tanto vecchie quanto evidentemente inefficaci. Ancora si vedono sorgere argini senza un serio studio sull’impatto che possono portare a valle, cementificazione degli alvei e alterazione delle dinamiche naturali del fiume. Un’eredità della scellerata gestione del territorio del passato, su cui comunque non si vede un intervento diffuso per invertire la tendenza, ma una pratica spesso che ancora è di grande attualità.

I primati negativi del rischio idrogeologico nel territorio emiliano e romagnolo sono detenuti dalle province di Piacenza, Parma e Rimini (100% dei comuni a rischio idrogeologico). Oltre a tanti piccoli comuni, tutti i capoluoghi di provincia sono considerati a rischio idrogeologico dalla classificazione del Ministero dell’Ambiente e dell’UPI.
Risultati Regionali dell’Indagine
L’indagine si è concentrata sulla rilevazione di parametri che indicano l’esistenza e lo stato di attuazione delle attività di prevenzione messe in opera dalle amministrazioni comunali (gestione del territorio, piani di emergenza, campagne di informazione alla popolazione ecc.). L’analisi di tali parametri ha determinato una vera e propria classifica dello stato di sicurezza dal dissesto idrogeologico, che possa servire contemporaneamente da pungolo per risolvere le eventuali inadempienze o lentezze e per valorizzare il buon lavoro svolto da alcune amministrazioni comunali.
E’ stata monitorata la presenza di abitazioni, di interi quartieri o di fabbricati industriali in aree a rischio di alluvione e di frana, l’avvenuta delocalizzazione di fabbricati a rischio da parte dei comuni, la realizzazione di opere di messa in sicurezza dei corsi d’acqua e/o consolidamento dei versanti franosi ai fini di una valutazione sintetica del livello di rischio idrogeologico a scala comunale.

Sono state poi prese in considerazione quattro diverse tipologie di attività considerate fondamentali per un buon lavoro di mitigazione del rischio idrogeologico da parte dei comuni:
• manutenzione ordinaria degli alvei e delle opere idrauliche e rispetto delle norme dettate dai Piani di bacino;
• presenza di sistemi di monitoraggio e allerta della popolazione in caso di emergenza;
• presenza, validità, struttura del piano di emergenza comunale o intercomunale;
• iniziative di formazione ed informazione alla popolazione;
• realizzazione di esercitazioni di protezione civile.

Questa divisione in due blocchi contenutistici distinti di valutazione, che potremmo semplificare in “gestione del territorio” e “sistema di protezione civile” deriva dalla convinzione che si tratta di due elementi ugualmente importanti, uno a corto termine, ovvero essere capaci di intervenire in una situazione oggettivamente a rischio, l’altra a lungo termine, per costruire un territorio più sicuro dalle alluvioni e dalle frane. E’ evidente come il secondo elemento, ovvero la presenza di un buon “sistema di protezione civile”, deve essere valorizzato in quanto fondamentale per soccorrere la popolazione e salvare vite umane ad evento già in corso, ma non può trasformarsi in un alibi per non realizzare una buona gestione del territorio.
Tra le amministrazioni comunali dell’Emilia Romagna intervistate, sono 57 quelle che hanno risposto in maniera completa al questionario di Ecosistema rischio ( oltre il 15% dei comuni a rischio della Regione). Di queste, i dati relativi a 4 amministrazioni sono stati trattati separatamente, in quanto i sindaci di questi comuni affermano di non avere strutture in aree a rischio, il che giustifica parzialmente il non essersi attivato in azioni di prevenzione e pianificazione. Sono state invece mantenute quelle amministrazioni che, a seguito di interventi di consolidamento e delocalizzazione, pur non avendo fabbricati in zone a rischio, svolgono comunque un buon lavoro di mitigazione del rischio idrogeologico. Le tabelle riportate nel dossier si riferiscono quindi a 53 amministrazioni comunali dell’Emilia Romagna.
Ben l’83% dei comuni hanno nel proprio territorio abitazioni in aree golenali, in prossimità degli alvei e in aree a rischio frana e il 38% presenta in tali aree addirittura interi quartieri. Sei comuni su cinque vedono sorgere in aree a rischio strutture e fabbricati industriali, che comportano in caso di alluvione, oltre al rischio per le vite dei dipendenti, anche lo sversamento di prodotti inquinanti nelle acque e nei terreni. Dati che evidenziano come lo sviluppo urbanistico non abbia tenuto conto del rischio. Il risultato è un alto livello di attenzione per frane e alluvioni. A fronte di questo appena un comune su quattro ha intrapreso delocalizzazioni delle strutture dalle arre più a rischio, e nel 28% dei comuni non sono stati realizzati interventi di messa in sicurezza idraulici e interventi di consolidamento dei versanti. Praticamente un comune su quattro non svolge attività di manutenzione ordinaria dei corsi d’acqua e delle opere di difesa idraulica.
Se è vero che il problema è l’occupazione urbanistica di tutte quelle aree dove il fiume in caso di piena può “allargarsi”, le opere di messa in sicurezza non possono trasformarsi in alibi per continuare a costruire nelle aree golenali. Nonostante tutto ciò sia ormai assodato nella teoria e sia cresciuta la sensibilità degli enti locali in questo senso, nella pratica ancora tardano ad apparire interventi concreti di delocalizzazione delle strutture a rischio, di serio studio su scala di bacino per pianificare le arginature e gli interventi strutturali di prevenzione, anche al fine di rimettere mano agli errori idraulici del passato.
Migliore la situazione per quanto riguarda le attività di pianificazione d’emergenza, uno strumento fondamentale per la sicurezza delle persone, sia al fine di organizzare tempestivamente evacuazioni preventive in caso di piena che per garantire soccorsi alla popolazione immediati ed efficaci. L’ 87% dei comuni infatti si è dotato di un piano da mettere in atto in caso di frana o alluvione, anche se il 44% non lo ha aggiornato negli ultimi due anni, avendo così in mano un’arma spesso spuntata contro le alluvioni.
L’informazione alla popolazione su quali sono i rischi, sui comportamenti individuali e collettivi da adottare in caso di calamità e sui contenuti del piano comunale d’emergenza, rappresentano una delle attività principali che i comuni dovrebbero svolgere: se la popolazione non si fa prendere dal panico, sa cosa fare e dove andare durante una situazione di pericolo, già questo rappresenta un fondamentale parametro di sicurezza. Eppure in Emilia Romagna i comuni risultano particolarmente in ritardo in questa fondamentale attività: soltanto il 23% è attivo in questo senso. Leggermente migliore la situazione per quanto riguarda la realizzazione di esercitazioni: il 42% ne ha organizzate nel proprio territorio durante l’ultimo anno. Nonostante i dati rispetto alle medie nazionali risultino buoni, complessivamente sono ancora troppe le amministrazioni comunali dell’Emilia Romagna che tardano a svolgere un’efficace ed adeguata politica di prevenzione, informazione e pianificazione d’emergenza. Soltanto il 55% dei comuni risulta infatti svolgere un lavoro positivo di mitigazione del rischio idrogeologico. Dati che confermano come tanta strada sia ancora necessario percorrere per una piena sicurezza dei cittadini dalle frane e dalle alluvioni. Nessun comune svolge in Emilia Romagna un ottimo lavoro di mitigazione del rischio idrogeologico.
Come già detto nessun comune in Emilia Romagna raggiunge questo anno il voto di eccellenza necessario per essere premiato da Legambiente e dal Dipartimento della Protezione Civile con la bandiera “Fiume Sicuro”, da esporre nel proprio territorio come riconoscimento del buon lavoro svolto nella mitigazione del rischio idrogeologico. I comuni comunque più meritori nella prevenzione delle frane e nelle alluvioni in Emilia Romagna risultano San Benedetto Val di Sangro (Bo), Reggio Emilia e Gualtieri (Re), che raggiungono la classe di merito “buono” con il voto di 9/10.
L’altra faccia della medaglia in Emilia Romagna è il comune di Lugagnano V. Arda (Pc) che, pur avendo interi quartieri in zone a rischio, non ha messo in campo nessuna azione nella mitigazione del rischio idrogeologico.

I capoluoghi a confronto
Tutti i nove capoluoghi di provincia emiliani e romagnoli sono considerati a rischio idrogeologico dalla classificazione del Ministero dell’Ambiente e dell’UPI. Di questi, sette hanno risposto in modo completo all’indagine. Li analizziamo a confronto per capire quale è in Emilia Romagna la situazione del rischio idrogeologico delle grandi città, che se da un lato hanno spesso un territorio più esteso da gestire (quindi con problemi maggiori), dall’altro possono disporre di maggiori fondi rispetto ai piccoli comuni.
Tra i capoluoghi di provincia Reggio Emilia risulta il più meritorio dell’Emilia Romagna, sebbene la presenza di fabbricati industriali in aree a rischio non gli permetta di raggiungere la classe di merito d’eccellenza “ottimo lavoro svolto”.
L’altra faccia della medaglia invece è rappresentata da Piacenza, con evidenti problemi legati al rischio idrogeologico. Ha infatti nel proprio territorio interi quartieri in aree a rischio, non ha delocalizzato costruzioni dalle aree a rischio nè si è dotata di un piano d’emergenza per il rischio idrogeologico, non realizza attività di informazione rivolte ai cittadini, né organizza esercitazioni e corsi di formazione per i propri dipendenti e per i volontari. Complessivamente raggiunge una classe di merito di “Scarso” nella mitigazione del rischio idrogeologico.