Da alcuni mesi un’interessante esperienza di archeologia sperimentale sta coinvolgendo i ricercatori del DIMA – Dipartimento di Ingegneria dei Materiali e dell’Ambiente dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. Dall’inizio della scorsa estate ha avuto il via un’opera di riproduzione di vetri di epoca romana in fornace a legna.

Studiando i vetri musivi di Pompei, i ricercatori hanno tentato di risalire e riprodurre le avanzate tecniche produttive in possesso dei romani già nel I secolo d. C., con l’utilizzo di una fornace somigliante a quelle utilizzate all’epoca.
Una delle principali caratteristiche di queste fornaci era l’estrema efficienza, limitata, però, a poche cotture. Per questa ragione, dopo un attento studio dei materiali ne è stata realizzata una conforme a quelle antiche, ma costruita con materiali moderni più resistenti. I lavori hanno avuto inizio con il primo sole di primavera 2006, quando si è potuto dare avvio allo scavo della camera di combustione seminterrata. Tra luglio e ottobre dello scorso anno sono state condotte alcune fusioni per prendere dimestichezza con la pratica della conduzione della fornace a legna e sono stati realizzati i primi vetri. Nel corso di questo nuovo anno il lavoro continuerà con altre prove di fusione e con la realizzazione del progetto della fornace vera e propria.

Il DIMA non è nuovo a questi tipi di studi: dal 2003 ospita, coordinato dalla prof. ssa Anna Corradi, Direttore del Dipartimento, il L.I.A – Laboratorio di Indagini Archeometriche, finanziato dal MIUR e dotato della strumentazione dedicata sia ad indagini sui siti archeleogici e musivi, che di laboratorio.
Per quanto riguarda i vetri antichi, il L.I.A. è focalizzato sullo studio archeometrico di tessere musive vitree di età romana coordinato dalla prof. ssa Cristina Leonelli, in collaborazione con il Dipartimento di Storia dell’Università di Parma e con il Gruppo Beni Culturali del centro CNR-ISTEC di Faenza.

Lo studio dei materiali musivi antichi è stato possibile grazie alla disponibilità di numerosi enti di tutela del patrimonio archeologico, tra questi la Soprintendenza Archeologica di Pompei, Ercolano e Stabia, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, il Museo Nazionale Romano, il Museo Archeologico Nazionale di Chiusi, la Soprintendenza Archeologica della Lombardia, il Museo di santa Giulia di Brescia, che, dimostrando una non comune apertura nei confronti delle nuove tecnologie, hanno messo a disposizione i campioni da analizzare.

Questo progetto, coordinato dalla Prof.ssa Cristina Leonelli, ha visto l’impegno di alcuni borsisti del DIMA, il dott. Elie Kamseu, la dott.ssa Cristina Boschetti, il dott. Roberto Rosa ed il dott. Dino Boccaccini, di una stagista, la dott.ssa Nadia La Monica, del master in Scienza e conservazione dei Beni Culturali dell’Università di Bologna, ma anche di un esperto di strutture primitive in legno, il sig. Erino Marchi socio del Gruppo Archeologico di Savignano sul Panaro (MO).
La realizzazione è stata appoggiata da alcune aziende private che hanno messo a disposizione gratuitamente i materiali: UNIECO Laterizi soc. coop, fornace di Fosdondo, che ha fornito i mattoni necessari, Colorobbia Italia spa, che ha fornito le materie prime e Casalini Ponteggi, che ha provveduto alla messa a punto della copertura e il sig. Ivano Poppi della Poppi s.r.l. (gruppo CMS), che ha fornito gli strumenti in metallo.