La scorsa settimana il Governo ha approvato il disegno di legge sulle unioni di fatto. “Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi”: questo il titolo del provvedimento sul quale si è sviluppato nei giorni seguenti un acceso dibattito.
Il settimanale cattolico modenese Nostro Tempo, in distribuzione in questi giorni, ne ha parlato con l’arcivescovo mons. Benito Cocchi.

“Sorprende che questi paladini della libertà di opinione, di parola, di giudizio, accusino la Chiesa se esprime ciò che sostiene da secoli, in quanto coerente con il vangelo, con la tradizione, con il magistero. Auspicherei da tutti un confronto sereno, costruttivo e non polemico.
La Chiesa non detta linee; offre riflessioni. Siamo tutti consapevoli (ed anche soddisfatti) che in Italia vi sia una democrazia ormai radicata nella gente. Nessuno mette in discussione il diritto ed il dovere dello Stato (e quindi della classe che governa) di valutare lo svolgersi della società; di determinare le regole della vita sociale. Ma, proprio in quanto si vive in una società democratica, non si vede perché dovrebbe essere impedito alla Chiesa di esprimere il proprio giudizio, soprattutto quando si tratta di realtà sulle quali si fonda la vita della società.
Che vi siano cambiamenti sia nella mentalità, sia nel modo di concepire la famiglia nessuno potrebbe negarlo. Si può invece negare che queste novità siano davvero vantaggiose per i componenti della famiglia, in particolare i figli.
La parte sconfitta non è la Chiesa; è la famiglia, sono i figli e l’intera società italiana ed il suo futuro. E per loro vale la pena impegnarsi. Il vero problema, infatti, è il sostegno alle famiglie con politiche vere e lungimiranti che aiutino ogni famiglia ad esprimere le proprie peculiarità come, ad esempio, la fecondità (non dimentichiamoci che siamo uno dei paesi nel mondo con il minor numero di figli), l’educazione e, più in generale, la collaborazione alla crescita dell’intera società.
La Chiesa infatti è consapevole che lo Stato deve riconoscere al cittadino ogni diritto, che sia compatibile con la vita associata. Ritiene però che la regolamentazione di altre forme di unione, qualora le assimili anche solo parzialmente alla famiglia, procurerebbe inevitabilmente difficoltà alla famiglia stessa, con grave danno ai compiti principali di questo istituzione: la formazione dei nuovi cittadini”.