In Emilia Romagna le donne costituiscono circa il 35% delle persone stabilmente impegnate nelle aziende agricole. La (Sau) superficie agricola
utilizzata media delle 23.658 aziende della regione con un conduttore donna si ferma a 6,3 ettari contro i 10,4 delle aziende degli uomini.


Sono alcuni dati presentati dall’associazione ‘Donne in Campo” l’associazione della Confederazione Italiana Agricoltori che si
propone di valorizzare l’imprenditorialità femminile nell’impresa e, più in generale, la condizione della donna in agricoltura e nelle zone rurali.
Il dato che emerge, in un panorama regionale (e nazionale) in cui le imprese agricole sono in flessione, è che le aziende agricole ‘in rosa’
vanno in controtendenza e resistono all’esodo, come ha sottolineato nel corso di una conferenza stampa Annamaria Dini, vice presidente nazionale
deli ‘Donne in Campo’.

“Bologna risulta poi la più ‘femminista’ con oltre il 25% delle aziende (3.400 imprese) e circa il 20% della Sau, gestite da donne – spiega Sofia Trentini, coordinatrice regionale di Donne in Campo’ e il fatto che attualmente un’azienda agricola su tre sia condotta da donne è un aspetto di grande importanza e significa che le imprenditrici possono dare un contributo concreto e fattivo ad un’agricoltura che si trova alle prese con una preoccupante crisi strutturale che ha bisogno di una reale politica di sviluppo, di nuove energie e capacità imprenditoriali”.

Il lavoro femminile è più frequentemente a part time rispetto a quello degli uomini: l’incidenza delle donne scende infatti al 27% se si considerano, invece delle persone, le giornate di lavoro.
“L’agricoltura registra la presenza più massiccia, subito dopo il commercio, di imprenditrici – dice Mara Biguzzi, direttrice Cia Emilia Romagna – ciò significa che il settore, e soprattutto la sua
multifunzionalità, trova nelle donne un’efficace rispondenza. E ciò si riscontra in particolare nella crescita costante nello svolgere attività innovative, come ad esempio nell’agriturismo (520 aziende in Emilia Romagna) e nelle fattorie didattiche (287), le cui imprese per il 35% del totale sono condotte da imprenditrici. Aumenti importanti si registrano
anche nel settore biologico, nelle produzioni di ‘nicchia’ Dop e Igp, nell’ortofrutta e nella vitivinicoltura”.

La titolarità femminile si estende ormai anche alle imprese di medie dimensioni, migliora il livello di istruzione delle donne titolari, si assiste ad una nuova attenzione da parte di tante donne giovani verso l”avventura’ della imprenditoria agricola.

“Donna e impresa agricola sono dunque un binomio da leggere con occhi diversi rispetto al passato – dice ancora Mara Biguzzi – e la prontezza
con cui le donne hanno saputo trasformare ruoli e saperi tradizionali in impresa costituisce una riserva di fantasia e tenacia che incrocia con
eccezionale tempestività la necessaria rigenerazione dell’agricoltura e la risposta che essa deve dare ai nuovi bisogni della società: salute,
benessere, ambiente, territorio”.

La proporzione tra lavoro maschile e femminile è poi molto diversa a seconda delle categorie di manodopera: l’incidenza delle donne risulta
infatti preponderante nel ruolo di “coniugi del conduttore”, con l’83,4% delle giornate di lavoro.
La proporzione poi non cambia molto da una provincia all’altra: in genere oscilla tra il 21 e il 24%. Solo in 3 province (Reggio Emilia, Ravenna e
Ferrara) si scende al 19-20%, mentre Bologna risulta la più ‘femminista’ con oltre il 25% delle aziende, e circa il 20% della Sau, gestite da
donne.
“Il fatto che attualmente un’azienda agricola su tre sia condotta da donne è un aspetto di grande importanza – interviene Nazario Battelli,
presidente della Cia Emilia Romagna – e significa che le imprenditrici possono dare un contributo concreto e fattivo ad un’agricoltura che si
trova alle prese con una preoccupante crisi strutturale e che ha bisogno di una reale politica di sviluppo, di nuove energie e capacità
imprenditoriali”.

Le donne costituiscono non a caso il parametro più interessante e innovativo dei ‘numeri’ della campagna. “Con un gioco di parole, che
indica il processo di cambiamento avvenuto nel tempo – precisa Mara Biguzzi – potremmo dire che le contadine sono quelle che hanno deciso
l’abbandono, le coltivatrici sono coloro che sono rimaste al di la di ogni desiderio personale, le imprenditrici sono quelle che sono tornate e che
costituiscono una speranza per il futuro”.
E’ inoltre importante ricordare che le imprenditrici agricole possono svolgere una funzione significativa nella tutela e nella valorizzazione
delle produzioni locali, che hanno nella qualità e nella tipicità le loro prerogative essenziali: la stessa vendita diretta di prodotti da parte
delle agricoltrici (sempre più diffusa e capillare), oltre a dare impulso al fattore della territorialità, permette di avere un rapporto sempre più
stretto tra agricoltura e consumatori. E questo, soprattutto nell’attuale momento, è fatto non secondario. L’associazione Donne in Campo, infine,
per lanciare la campagna di adesione ha assegnato la tessera onoraria a Maria Luisa Bargossi del Servizio territoriale Regione Emilia R.,
all’assessore all’Agricoltura della Provincia di Bologna Gabriella Montera, al presidente del Centro studi aziendali (CSA) di Bologna Donata
Cavazza, a Carla Cavallini del Carrefour europeo Emilia, Centro d’informazione e animazione rurale dell’Unione europea, ad Antonietta Stinga esperta di multifunzionalità e a Maria Adele Tonetti, psicologa.