Come evento collaterale della mostra ‘Vermeer. La ragazza alla spinetta e i pittori di Delft’ allestita presso il Foro Boario, l’Associazione Circuito Cinema, in collaborazione con la Soprintendenza e con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio, ha organizzato, alla sala Truffaut, una rassegna di quattro film dedicata a ‘Vermeer tra cinema e arte‘.

Cinema e pittura sono indubbiamente due medium diversi: il film trattiene due ore quella stessa magia che il quadro è in grado di comunicare per un attimo; la pittura è opera di un solo creatore, il cinema di un team. Ciò detto, è difficile negare che Johannes Vermeer abbia un fascino tutto particolare per gli autori cinematografici, sia dal punto di vista del citazionismo pittorico, sia dal punto di vista narrativo ed anche discorsivo (confronto tra il mondo del cinema in cui si svolge l’azione e quello della pittura). Vermeer appare il nume tutelare del cinema europeo d’autore, esattamente come Edward Hopper è il riferimento pittorico riconosciuto di tanto cinema americano: i due del resto hanno molti tratti comuni, Hopper conosceva e amava il maestro di Delft.
Vermeer è innanzitutto il profeta di due aspetti essenziali del cinema: l’azione frammentata in 24 f/s, per cui i suoi dipinti sembrano altrettanti frames di una sequenza; l’uso drammatico della luce, che proviene sempre da sinistra da una altezza di circa un metro e trentacinque centimetri. Le sue composizioni presentano una atmosfera sospesa e immobile, in cui sembra celarsi un possibile racconto; qualcosa sta succedendo sotto i nostri occhi, e dobbiamo decifrare cosa. Nello studiato rapporto tra figure e spazio attorno a loro si indovinano stati d’animo, emozioni, tensioni, nascoste e celate, spesso allegoriche dell’eros o della vanità. Ebbene, tutto ciò è molto cinematografico. Una pittura così evocativa di atmosfere e di un potenziale racconto non può che attrarre i cineasti; l’apparente oggettività e freddezza di descrizione esprimono il senso di una profonda solitudine, un silenzio e uno stupore quasi metafisici; le figure sono immerse in una sorta di vuoto, la luce possiede una qualità estraniante.

La rassegna si apre lunedì 30 aprile alle ore 21 con ‘La ragazza con l’orecchino di perla’ (2003) di Peter Webber, in parte film biografico ma soprattutto storia di una doppia fascinazione incrociata: quella della servetta Griet per i quadri del pittore, e quella del maestro per la ragazza che diverrà sua modella per il celebre quadro del Mauritshuis dell’Aja (così come propone il romanzo di Tracy Chevalier). La proiezione è preceduta da una presentazione del critico Alberto Morsiani.
Segue, lunedì 14 maggio, ‘Lo zoo di Venere’ (1985) di Peter Greenaway: interessato al tema della riproduzione e della duplicazione, il regista inglese usa i dipinti di Vermeer proprio perché la pittura dell’olandese possiede questo aspetto di quasi-vero che esalta il tema della finzione e della falsificazione.

Gli altri due titoli sono ‘Tutti i Vermeer di New York’ (1990) di Jon Jost (un broker si innamora di una francese che ha visto davanti a un dipinto di Vermeer al Metropolitan; introduzione di Alberto Morsiani) in programma martedì 29 maggio; ‘La merlettaia’ (1977) di Claude Goretta, in cui Isabelle Huppert impersona un personaggio ispirato al celebre ritratto di Vermeer del Louvre, in cartellone martedì 5 giugno.