“Sanzionare chi non rispetta le regole è giusto, sia perché si violano i diritti dei lavoratori sia perché si alterano le regole della libera concorrenza; è però profondamente sbagliato ed ingiusto generalizzare perché la stragrande maggioranza degli operatori del turismo e della ristorazione opera in modo corretto”.

È questa la premessa con cui Alberto Crepaldi, responsabile settore turismo e ristorazione di Confesercenti Modena, interviene sull’utilizzo di lavoratori in nero in locali e ristoranti della provincia di cui, anche di recente, si è parlato a seguito di una serie di controlli effettuati dalla Guardia di Finanza.



Il contrasto e la repressione di comportamenti irregolari non possono però essere l’unica leva su cui agire. I settori del turismo e della ristorazione hanno, come noto, esigenze del tutto particolari di flessibilità di cui si deve tenere conto se non si vuole penalizzare gli imprenditori nelle loro scelte organizzative. Per questo l’Associazione sottolinea quanto sia importante disporre di soluzioni giuridiche adatte a far fronte alle peculiarità che caratterizzano questi settori. In tal senso, Confesercenti nazionale, nelle scorse settimane, ha sostenuto l’opportunità che l’istituto del lavoro a chiamata, mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore per lo svolgimento di una prestazione, fosse reintrodotto per taluni settori tra i quali appunto quello della ristorazione. “È positivo che la nostra sollecitazione sia stata accolta, perché il lavoro a chiamata – sottolinea Crepaldi – è uno strumento idoneo a far fronte alle condizioni di discontinuità lavorativa tipiche dei pubblici esercizi. I vantaggi maggiori per le imprese riguardano la semplificazione delle procedure di assunzione e non tanto gli aspetti economici”.



L’importanza di agire in questa direzione è, tra l’altro, sottolineata anche dall’andamento dell’occupazione. Nel periodo 1996-2006, infatti, in Italia, in bar, ristoranti e strutture ricettive il volume di lavoro impiegato è cresciuto del 28,5 per cento, a fronte di un incremento medio del 9,6 per cento.



Accanto al tema della flessibilità, resta però anche un altro problema. Il costo del lavoro è gravato da un carico fiscale insostenibile. Nell’area Euro, infatti, come evidenziato nel rapporto Eurostat “Taxation trend in the European Union”, l’Italia spicca per aver avuto la più alta crescita dell’imposizione fiscale sui redditi da lavoro nel decennio 1995-2005: si è passati infatti, dal 37,8 per cento del 1995 al 43,1 del 2005, a fronte, di una media del 35,6.


“Se dunque – conclude Crepaldi – la politica economica deve rilanciare e sostenere la produttività e la crescita del Paese, si apra una seria riflessione su come allineare il costo del lavoro nel nostro Paese a quello, decisamente più leggero, degli altri Paesi europei”.