A meno di un mese di distanza dal giorno della memoria dedicato a commemorare le vittime dell’Olocausto il 23 e 24 febbraio il Teatro Storchi ospita Processo a Dio (sabato ore 21, domenica ore 15:30) un testo sulla Shoah, un’opera di fantasia costruita sull’orrore della realtà da un trentenne in fase di esplosione, che ben conosce la storia e la letteratura ebraica.

Stefano Massini, Premio Tondelli 2005, ricrea un processo a cui partecipa anche un rabbino, condotto da una attrice, interpretata nello spettacolo di Sergio Fantoni da una Ottavia Piccolo in preda a sacro furore, coi capelli rasati da prigioniera, esemplare nel dipanare elenchi delle ingiustizie che Dio ha lasciato commettere ai danni del suo popolo eletto. Uno spettacolo che non concede respiro, la cui forza risiede nella consapevolezza che ciò che si ascolta è accaduto davvero. La platea sarà portata a seguire con un silenzio pieno di tensione il testo di Massini che porta in scena lo Sterminio senza la retorica dell’orrore. La regia di Sergio Fantoni assicura sobrietà ed estrema sensibilità senza eccedere in pathos. La cornice storica che ruota attorno a Processo a Dio, è la primavera del 1945 il giorno dopo la liberazione del campo di concentramento di Lublino-Maidanek. La scena firmata da Gianfranco Padovani lascia intuire un grande magazzino alle cui pareti vengono ammassati tutto ciò che per la gente aveva senso al di là del filo spinato, prove di un ieri cancellato dall’ Arbeit Macht Frei. Abiti, fotografie, libri, giocattoli: tutto ciò che faceva le età di un uomo ma di cui un numero non avrà più bisogno. Per il resto lo spazio non possiede nessuna finestra, nessun vetro, nessun varco, nessuna via di fuga. Ottavia Piccolo interpreta Elga Firsch un’attrice ebrea a lungo rinchiusa nel campo di concentramento e riesce con incisività e tempra a dar voce all’ansia di verità e all’impossibile sete di giustizia. Il processo, condotto dalla grande attrice, avanza fra dolore e violenza, affanno e rabbia, paura e riscatto basandosi su cinque domande che sono veri e propri capi d’accusa, rivolti innanzitutto a Dio, al quale si chiede come abbia potuto permettere un orrore come quello, e in seconda istanza a Rüdolf W.Reinhard, criminale che si è sentito come un dio nei confronti delle sue vittime alle quali ha somministrato torture inenarrabili e morte. Uno straordinario esempio di teatro civile che parla alle coscienze avvalendosi di personaggi di finzione e parole tutte vere, un testo che non ha nulla da invidiare a documentari, film e testimonianze e che grazie al teatro fa provare al pubblico un silenzio pieno di tensione, traducendo in emozioni ciò che avvenne nel cuore del Novecento nella civilissima Europa. La meccanicità del rito processuale fa venire a galla verità tremende che superano ogni immaginazione: il numero dei lager e dei morti, le montagne di capelli rasati alle donne uccise e i denti d’oro estratti ai cadaveri, le parole lasciate da chi ha descritto i propri tormenti o dagli aguzzini che ne registravano i tempi di resistenza alle torture, una verità resa ancora più mostruosa dai particolari che la sala ascolta in glaciale silenzio con la sofferenza di chi sa che si tratta di Storia.