Dopo che il governo ha sbloccato opere pubbliche per oltre 17 miliardi di euro e ha istituito un fondo strategico di 9 miliardi per le imprese, e soprattutto dopo il lancio dei Tremonti-bond per dare liquidità agli istituti di credito, ora le banche non possono più perdere tempo e devono tornare al loro mestiere, che è quello di dare sostegno e ossigeno finanziario alle piccole e medie imprese, e alle famiglie. Devono farlo subito, perché lo Stato e il governo – come ha detto il ministro Tremonti – deve salvare economia, posti di lavoro e famiglie, ma non può salvare i banchieri falliti. E’ finito il tempo della finanza allegra, quando i soldi facevano soldi con titoli di carta, ma qualcuno ancora non l’ha capito.


Le notizie che arrivano dal fronte del credito sono sempre più drammatiche: migliaia di imprese e ditte artigiane sono sull’orlo dell’abisso, qui a Reggio Emilia, perché le banche hanno chiuso i rubinetti del credito. I novemila cassintegrati di Reggio e provincia sono in gran parte da attribuire proprio alla “fuga” delle banche. E’ sempre più vasta la platea delle ditte alle quali viene imposto di rientrare immediatamente nei conti correnti, o che non possono più ricorrere al risconto fatture o agli anticipi di liquidità indispensabili per pagare fornitori e stipendi.
A ciò si aggiunge che nei confronti delle famiglie, soprattutto i giovani, la stretta su prestiti e mutui è senza precedenti: viene chiesto ogni genere di garanzie aggiuntive, dalle firme dei garanti ad assicurazioni sempre più costose sino al giro di vite sugli importi finanziabili nel caso di mutui immobiliari.
Ma, ripeto, ora le banche non hanno più alibi: tornino a fare il loro mestiere prima che il nostro sistema produttivo vada a fondo causa strangolamento. Chi è responsabile dell’orgia della finanza facile e costruita sul nulla, ma intanto continua a ricevere stipendi milionari e ricche stock option, non può scaricare le proprie gravi responsabilità sul sistema Italia.
Se le banche non cambiano strada e invece continuano a seminare sfiducia, non ci sarà alternativa a provvedimenti drastici, sino alle nazionalizzazioni.
Molti si domandano perché, ad esempio, i sindacati non hanno ancora proclamato un minuto di sciopero dei dipendenti bancari contro questa situazione paradossale e preoccupante.
E’ necessario che tutti contribuiscano allo sforzo messo in campo dal governo, sforzo senza precedenti nonostante le ristrettezze della finanza pubblica: deve farlo la Regione Emilia-Romagna, costituendo un proprio fondo di sostegno alle imprese finanziabile con i tagli agli sprechi e alle spese clientelari, devono farlo Province e Comuni facendo sentire la loro voce con gli istituti di credito e mettendo a disposizione ogni risorsa disponibile.

Il Comune di Reggio batta un colpo (se c’è)
Il ministro Tremonti ha istituito l’osservatorio sul credito in tutte le Prefetture: ci aspettiamo che operi con efficacia e che siano i sindaci i primi a farsi portatori delle esigenze dei settori dell’economia soffocati dalla stretta delle banche. Chiedo pertanto all’amministrazione di Reggio Emilia di istituire comitati temporanei di esperti e consiglieri, per affiancare il nuovo osservatorio e promuovere iniziative tempestive a sostegno delle imprese. Il Comune di Reggio, evidentemente troppo impegnato nel trasloco dei Sinti e nella gestione degli affari del Psc, non ha detto neppure una parola su questa crisi, ma è ora che alzi la voce e prenda decisioni concrete.

(Fabio Filippi, Candidato Sindaco di Reggio Emilia)