Carissima Anna, ma come faccio a polemizzare con te? Perché lo sai, noi, da buoni avversari politici, dovremmo di fatto polemizzare, mentre io preferirei assolutamente affrontare quella bottiglia di vino, magari insieme a quei tuoi amici con i quali ho avuto modo di incontrarti recentemente.

Tra l’altro mi chiami in causa, su un argomento che avrei voluto evitare, anche se di grande attualità, perché rischia di tirare fuori il peggio di me. Ma che dire la passione della tua lettera merita assolutamente una risposta, e per rispetto cercherò questa volta di evitare ogni ironia.
E quindi ricambio gli abbracci, i ricordi liceali e l’affetto. Di più, ti voglio comunicare la grande stima che ho nei confronti di chi come te, ha un radicato senso della famiglia e sceglie di dedicarsi ai figli ed al marito tralasciando le proprie istanze personali, che siano superficiali desideri di frivolezza o profondi bisogni di realizzazione di sé nel lavoro.
Le cose semplici sono le più grandi.
La citazione francescana (che è poi il nostro manifesto elettorale) ci aiuta ad andare oltre, a dire qualcosa che sia di interesse anche di quelli che ci leggono, il resto magari ce lo diremo più discretamente via mail.
Non credo sia una questione di una manciata di voti, quelli riguardano i professionisti della politica di cui non mi interessa rappresentare le motivazioni, io lo faccio perché credo in un sistema di valori ben definito e strutturato e mi piacerebbe contribuire a fare in modo che questo sistema di valori stia alla base del governo della città in cui vivo e del modo di socializzare dei miei concittadini, o almeno a formare una cultura del rispetto di ogni persona.
Quello che non tollero è questa esasperazione del conflitto, quello su cui non posso assolutamente transigere è questo continuo richiamo alle nostre paure, che nasconde (ai miei occhi nemmeno tanto) qualche obiettivo, molto più terreno e forse meno nobile, e sicuramente legato a quella manciata di voti.
A differenza di te, io non ho radici sassolesi, ma anch’io qui ci sono nato, e ho ricordi della mia infanzia e della mia adolescenza.
Ricordo quando eravamo costretti a girare con l’autoradio sotto il braccio, certi che alla prima dimenticanza in auto saremmo stati puniti, ricordo quando fummo costretti ad abbandonare le nostre epiche sfide calcistiche nei parchi cittadini (in verità all’epoca li chiamavamo campetti) perché le siringhe abbandonate, dopo i nostri palloni avrebbero bucato anche noi, e ricordo anche le frequentazioni serali di quei luoghi. Purtroppo ricordo anche un disgustante episodio di vandalismo notturno all’interno di una delle chiesette più amate dai sassolesi.
Ma non ricordo i nostri genitori parlassero di ronde.
Erano tempi difficili, come probabilmente lo sono ora. Ma al contrario di adesso ognuno di noi era chiamato a rispondere delle proprie responsabilità civili, penali, politiche e religiose.
Di sicuro tutto il mio rispetto e la mia empatia va a chi, in questa situazione, è stato vittima di ogni qualsiasi forma di violenza personale, e la condanna più rigorosa a colui che tale violenza ha commesso.
SOLO A LORO.
Non viviamo negli anni 50, e nemmeno negli anni 90, e purtroppo indietro non si torna. La capacità di tradurre i valori di riferimento è la sfida che dobbiamo cogliere, a Sassuolo come nel resto del pianeta.
L’analisi del degrado della nostra città, che tu fai è parzialmente condivisibile, quello sul clientelismo totalmente, ma cavalcare l’onda esasperando il conflitto invece che negarlo è una strada che non aiuta e paradossalmente va ad aggravare gli stessi problemi che illusoriamente vorrebbe risolvere, e soprattutto è assolutamente contrario a quello che mi insegnavano da ragazzo in quelle parrocchie che anch’io ho frequentato, a lungo.
Scendendo poi ad un livello operativo, perché non si sente parlare dei problemi di sovraffollamento del Pronto Soccorso cittadino, o degli altri uffici pubblici. Io ricordo che la mia istruzione scolastica fu rallentata da qualche fascinosa compagna di classe, non da un gruppo di immigrati che non conosceva la mia lingua. Ma non farebbe campagna elettorale parlare di servizi, di scuola o di integrazione, e forse ancora una volta ci si dovrebbe avvicinare alla vera gestione del potere economico della città. Lasciami anche dire (naturalmente sono opinioni personali), che l’ipotesi di trasformazione di Via Felice Cavallotti mi sembra una strumentalizzazione dei nostalgici desideri di genitori autoctoni, più che una soluzione reale.
Lasciami concludere con il migliore in bocca al lupo per questa tua esperienza politica, perché la passione che ci metti merita il meglio.

Gian Luca Guarino
Candidato per l’Unione di Centro