Dopo alcuni anni di calo, rimane stabile il numero delle matricole. I dati dell’Istat relativi al numero dei nuovi iscritti all’università registra infatti per l’anno accademico 2007-2008 un -0,3% rispetto al -5,0% del 2006-2007 e al -2,3% del 2005-2006.

Ben l’83,4% delle immatricolazioni si è indirizzata verso i corsi di laurea triennali mentre il 15,5% delle matricole ha scelto i corsi di laurea a ciclo unico e l’1,1% quelli previsti dal precedente ordinamento.All’università si iscrivono più le donne (56%) che gli uomini (44%): le ragazze che proseguono gli studi dopo la scuola superiore sono il 74% contro il 62% dei ragazzi. La tendenza di gran lunga prevalente è di scegliere un ateneo non lontano da casa: il 55% delle matricole studia in una università della provincia dove risiede e il 25,4% resta comunque all’interno della propria regione; soltanto il 19,6% va fuori per studiare.Per quanto riguarda gli abbandoni universitari, le interruzioni coinvolgono il 17,6% degli immatricolati nell’anno accademico 2006-2007: una quota più contenuta rispetto alla media attorno al 20% registrata negli anni precedenti. Nel 2007, il 63% dei laureati ha terminato gli studi andando ‘fuori corso’. In particolare, fra gli iscritti ai corsi di laurea lunghi, soltanto il 13,5% si è laureato nei tempi previsti. I dati dell’Istat mostrano che laurearsi conviene, ai fini di trovare lavoro. Infatti, il tasso di disoccupazione nel periodo immediatamente successivo alla conclusione degli studi è del 12,9% fra i laureati e sale al 18,8% fra i diplomati. Un vantaggio che viene mantenuto anche negli anni successivi: infatti, resta disoccupato il 6,9% dei laureati fra i 30 e i 34 anni d’età e il 9,3% dei diplomati fra i 25 e i 29 anni.A tre anni dal conseguimento della laurea il 73,2% svolge un’attività lavorativa. La percentuale più alta di occupati in modo continuativo si registra fra i laureati in Ingegneria (88,9% per la meccanica; 88,1% per le telecomunicazioni; 84,9% per la chimica). Seguono i laureati in Farmacia (82,5%), in Economia aziendale (76,3%) e in Odontoiatria (75,4%). Le quote più contenute riguardano invece i laureati nelle facoltà mediche (24%), giuridiche (38,1%), biologiche (46,7%) e letterarie (48,6%). Ma va tenuto conto che i laureati in Medicina sono spesso ancora impegnati nei corsi di specializzazione; quelli in Giurisprudenza o in Scienze Politiche nelle attività di praticantato; mentre quelli in Lettere hanno iniziato sovente l’attività lavorativa, ad esempio nelle scuole, ancor prima del conseguimento della laurea. In particolare, per quanto riguarda i corsi triennali, la percentuale più alta di giovani impegnati in un’attività lavorativa di tipo continuativo dopo il conseguimento del titolo di studio si rileva per i corsi delle professioni infermieristiche e ostetriche (72,4%), delle scienze farmaceutiche (67,3%), delle tecnologie informatiche (66,4%), della mediazione linguistica (62,4%) e del disegno industriale (61,0%). I livelli più bassi, invece, si riscontrano nei gruppi giuridici (22%), biologici (31,3%), psicologici (32,2%) e letterari (35,3%).I dati dell’Istat mettono in rilievo che “la coerenza tra titolo di studio posseduto e quello richiesto per lavorare aumenta al crescere del livello di istruzione”. Più in particolare, sono i giovani in uscita dai corsi lunghi del gruppo medico, del chimico e farmaceutico, dell’ingegneristico, a vedere un maggiore riconoscimento del proprio titolo di studio; mentre fra i corsi brevi la percentuale è alta soltanto per le professioni sanitarie.Quanto al lavoro svolto, i giovani laureati mostrano in generale “un alto livello di soddisfazione in relazione alla propria occupazione. Gli aspetti più apprezzati sono il grado di autonomia sul lavoro e le mansioni svolte, mentre gli elementi in assoluto meno gratificanti rigurdano il trattamento economico e le possibilità di carriera”. Nel 2007, il 41% dei laureati in corsi lunghi e il 48% in corsi brevi lavorava con contratti a termine o in attività lavorative parasubordinate, mentre rispettivamente il 40,6% e il 42,4% era lavoratore a tempo indeterminato. Per tutti, a tre anni dalla laurea, la media di guadagno è attorno ai 1.300 euro mensili.

Fonte: Adnkronos