“ … il Pesce fuor d’acqua, già nel titolo quasi un’ammonizione indirizzata a tutti noi. Dal punto di vista costruttivo emerge evidente la forza della materia, il peso di oltre quindici quintali di acciaio abilmente plasmato per una raffigurazione fuori scala ma eccezionalmente dettagliata nei propri minimi particolari, quasi surreale. E altrettanto intenso è l’impatto ironico e scherzoso di questo lavoro, destinato a diventare un landmark nella città al quale presto impareremo a riferirci”.
Così il critico d’arte Sebastiano Simonini descrive la nuova creazione, Pesce fuor d’acqua, di Giovanni Menada, installata da oggi a pochi passi da porta Santa Croce, sul viale Isonzo: appunto un landmark, un segno di riferimento per questa area della città.
L’opera, commissionata e finanziata dalle famiglie Spallanzani e Fagioli, è stata collocata di fronte a palazzo Santa Croce (ex sede Bingo), è in “riservato dominio” della committenza ed ha l’obiettivo di qualificare gli spazi pubblici e privati circostanti. E’ collocata dove un tempo scorreva un canale di derivazione del Secchia, che alimentava le seterie di Santa Croce, fra le più grandi d’Italia. Dunque un secchio che richiama storia e tradizione locali e un pesce per stimolare la riflessione “su una delle condizioni dell’uomo”, come ha detto l’autore.
Le parti di cui è composta l’opera sono: un secchio in lamiera di ferro zincata (la forma è quella di un classico secchio da pozzo) contenente un pesce, stretto all’interno del recipiente, che non può contenerlo, facendolo appunto uscire dall’orlo del secchio: spuntano la testa e la coda in acciaio. Col tempo, il secchio acquisterà un colore più abbrunato, creando un contrasto efficace che porrà in risalto le parti del pesce. La struttura, fissata a terra, pesa 15 quintali, raggiunge l’altezza complessiva di 4,8 metri; il diametro del secchio alla base è di 2 metri, all’orlo di 3 metri. La produzione del manufatto è avvenuta alla Cmc di Cavriago.
L’installazione – presentata oggi dall’autore, Giovanni Menada e dal critico d’arte Sebastiano Simonini, da Edoardo Spallanzani in rappresentanza della committenza e dagli assessori alla Mobilità Paolo Gandolfi e ai Progetti speciali Mimmo Spadoni – è stata compiuta nell’ambito di un intervento che riguarda anche la viabilità pubblica della zona.
Grazie alla collaborazione tra pubblico e privato, infatti, è stata riorganizzata la viabilità, con una soluzione che consente di raggiungere due risultati: il primo, è di migliorare l’attrattività commerciale di via Roma, che può contare su un’ulteriore opportunità di accesso; il secondo risultato è una migliore accessibilità al parcheggio lungo viale Isonzo (dietro piazza Vallisneri) anche dalla stessa circonvallazione (tra palazzo e porta Santa Croce), rendendo più agile l’ingresso e l’uscita sino ad ora limitate alla sola via Nobili.
IL “PESCE FUOR D’ACQUA” DI MENADA, ARTIGIANATO MONUMENTALE
Giovanni Menada è uomo di difficile categorizzazione. Ed è anche necessario premettere che lui stesso non ama definirsi artista, anzi interpreta il proprio lavoro piuttosto collocandolo sul fronte dell’antica sapienza e abilità artigiana. Dobbiamo quindi necessariamente mettere da parte categorie e riferimenti, anche a quei movimenti del Novecento ai quali istintivamente vorremmo riferire il suo lavoro. Ascoltandolo raccontare della propria opera ricorrono termini concreti, il ferro, l’acciaio, la bottega. Si percepisce immediatamente il senso di un lavoro manuale forte e diretto al quale fa spesso da contrappunto una straordinaria leggerezza ironica, quel particolare gusto dello scherzo che talvolta emerge improvviso dai suoi lavori.
Credo che attorno a questi due aspetti possano coagularsi gli elementi fondanti della poetica di Menada: la durezza del ferro e la leggerezza dell’ironia.
Non sfugge a questa struttura concettuale anche il “Pesce fuor d’acqua”, già nel titolo quasi un’ammonizione indirizzata a tutti noi. Dal punto di vista costruttivo emerge evidente la forza della materia, il peso di oltre quindici quintali di acciaio abilmente plasmato per una raffigurazione fuori scala ma eccezionalmente dettagliata nei propri minimi particolari, quasi surreale. E altrettanto intenso è l’impatto ironico e scherzoso di questo lavoro, destinato a diventare un landmark nella città al quale presto impareremo a riferirci.
Ripercorrendo il catalogo di Giovanni Menada, che mai smette di misurarsi, sfidandosi su differenti ambiti creativi fra loro apparentemente eterogenei, appare nitido il comune denominatore di un segno sempre molto forte e caratterizzato, ma mai uguale a se stesso perché al contrario ogni volta capace di delineare invenzioni originali e sorprendenti. E diverte rileggere quanto scritto da Ermanno Cavazzoni in un brevissimo racconto dedicato a Menada (Filosofia dei Fabbri Ferrai – Piccolissima introduzione a Giovanni Menada), nel quale, in poche parole, emerge il senso più profondo del suo lavoro: “Giovanni Menada martellando onorevolmente il ferro o l’acciaio a freddo fa ogni tanto dei nodi da scarpa, che piacciono molto ai fabbri ferrai, perché li considerano scherzi”.
(Sebastiano Simonini)