La guerra alle mafie non è qualcosa che si può lasciar combattere solo alle forze dell’ordine e alla magistratura. Secondo Giuseppe Ayala, ospitato lunedì sera nella Sala Civica Rosina Mazzieri a Poviglio, la lotta alle mafie parte da ognuno di noi, dai cittadini che sono i veri controllori del potere.

Giuseppe Ayala, giudice della Corte di Appello dell’Aquila ha presentato nella gremita sala civica R.Mazzieri il suo ultimo libro “Chi ha paura muore ogni giorno” dove racconta gli anni vissuti con i giudici Falcone e Borsellino, uccisi proprio in virtù del loro impegno nel contrastare il potere mafioso.

Sollecitato dalla giornalista Sara Di Antonio, il giudice Ayala ha spiegato l’intento di un libro dedicato a due uomini che la storia ha dipinto come due eroi, e che l’autore dice di aver scritto proprio con lo scopo di restituire loro un volto umano.

Nelle parole di Ayala vicende personali, aneddoti e pezzi di storia del nostro Paesi si fondono e catturano l’attenzione del pubblico presente in sala, raccolto anche nel corridoio pur di ascoltare le parole di uno dei protagonisti del maxiprocesso.

Il discorso corre sul filo della storia, che Ayala chiama in causa quando propone una digressione sull’origine della mafia, fenomeno sociale profondamente radicato di cui si ha testimonianza – racconta Ayala – fin dalla fondazione dello stato italiano. “La longevità della mafia nel nostro Paese non trova eguali in nessun altro luogo del mondo” – ha riferito il giudice Ayala.

Le radici di questo fenomeno sono così profonde e radicate che anche gli Americani, in occasione dello sbarco in Sicilia, hanno fatto riferimento ad esso per la gestione logistica dell’operazione, riconoscendole il controllo effettivo del territorio.

Un territorio dove non si è mai sentito pronunciato la parola “mafia” fino agli anni delle prime inchieste che condussero al maxiprocesso del 1986, nel quale Giuseppe Ayala vestiva i panni del Pubblico Ministero.

Il livello del dibattito è stato alto e ha toccato anche l’attualità più vicina a noi quando la giornalista Sara Di Antonio, autrice di “Mafia. Le mani sul Nord” ha chiesto: “cosa intende per meridionalizzazione del nord?”.

Da qui la riflessione sulla “colonizzazione” del nord da parte della mafia, il cui operato è indissolubilmente legato al binomio denaro-potere, di cui non si è preso subito coscienza e che solo ora diverse inchieste stanno portando alla luce.

“Ma sono i cittadini – lo ripete ancora Giuseppe Ayala, come un monito, instancabile, citando una frase di Joseph Pulitzer – la più potente arma contro di controllo su chi esercita il potere. Il cittadino può quindi esercitare un’importantissima funzione preventiva anche verso la diffusione di pratiche mafiose; la pur fondamentale funzione repressiva di istituzioni e forze dell’ordine da sola non è sufficiente”.

“Facciamo tesoro delle parole di Giuseppe Ayala” – ha affermato il Sindaco Manghi, che ha ricordato come il nostro Paese ha già combattuto e vinto una guerra molto importante, quella che ci ha liberato dall’occupazione nazifascista riconsegnandoci un Paese libero fondato sui diritti, che uomini e donne come Rosina Mazzieri – a cui è significativamente dedicata la sala luogo dell’incontro con Ayala – hanno consentito di far giungere intatti sino a noi”.

L’iniziativa è stata organizzata dall’Unione dei Comuni della Bassa reggiana, dall’associazione Prodigio nell’ambito del progetto «La legalità e il rispetto delle regole – diritti e doveri», in collaborazione con «Percorsi di cittadinanza e legalità» (progetto didattico promosso dal Consorzio cooperativo Oscar Romero di Reggio) e patrocinata dalla Provincia di Reggio e dalla Regione Emilia Romagna.