Alessandro Bergonzoni, l’attore, scrittore, artista, testimonial della Casa dei Risvegli si è presentato ieri sera nell’incontro a FestaReggio davanti ad un pubblico “meraviglioso” (come lo ha definito il conduttore, il prof. Gino Ruozzi), attento e numerosissimo, interessato a quanto questo maestro del linguaggio, funambolo della parola, avesse da raccontare.

Con la dedica non retorica al poeta Roberto Roversi, si è capito già dall’inizio che la conversazione di Bergonzoni avrebbe colto temi impegnati, anzi legati all’impegno di ciascuno per colmare il vuoto di chi ci ha lasciati. Un invito ad una partecipazione attiva e pensata per comprendere le grandi trasformazioni in corso con uno sguardo allargato, non ristretto ai territori individuali e locali. Un modo per riflettere sui modi di fare politica e cultura con una energia tesa a svegliare le anime e i cervelli. In arrivo da una lezione magistrale sul rapporto fra le COSE e l’ESSERE al Festival della Filosofia di cui si percepivano ancora gli echi, Bergonzoni ci ha invitato con il suo dire denso di significati a pensare a quanto simo ristretti, chiusi e corti. Soprattutto quando riteniamo di fare a meno di una sensibilità che ci viene dalle letture o dai film, dalla poesia e dall’arte. Perché dentro ai capolavori ci sono grandi momenti che dobbiamo cogliere non per una cultura “colluttoria”, da sputare dopo l’uso, ma da fare propria. ” Io devo diventare come Dante” è stata la sua sollecitazione, perché dagli insegnamenti dei grandi possiamo passare alla fase 2, quella dell’impegno e della realizzazione. Dentro a ciascuno di noi c’é un dio: “noi siamo dei e lo saremo ancora” insieme a Teresa di Calcutta, Terzani, Falcone, eroi a cui dobbiamo una appartenenza non una distante venerazione.

Ancora Bergonzoni ci ha invitato a pensare al peccato di distanza, a quanto siamo lontani dalla comprensione degli avvenimenti che accadono lontano da noi, in Pakistan o nell’estremo oriente, che hanno lo stesso significato ed impatto di quelli che avvengono nei nostri territori. “Le fabbriche che hanno preso fuoco in Pakistan con i loro morti hanno lo stesso valore di quanto accaduto alla Tissen, perché la terra è una e perché noi non abbiamo confini”. Insomma un invito a pensare, a continuare a farlo perché dobbiamo decidere da protagonisti, “dobbiamo rianimarci altrimenti siamo già morti”.