violenza_donne_5Le misure antiviolenza per punire gli aggressori e proteggere le vittime devono essere attuate con urgenza, ma non bisogna dimenticare che queste misure riguardano il dopo, quando un’altra donna è già stata uccisa o maltrattata. Quindi, non bastano, se non vengono affiancate da altrettanto urgenti e diffuse campagne di educazione e di prevenzione, campagne che devono entrare nelle case, che devono coinvolgere i media, innanzitutto, i genitori, gli insegnanti e tutti gli attori e gli ambiti della formazione. Infatti, le cifre impressionanti e i modi cruenti, le morti precedute quasi sempre da sevizie, sono solo la punta dell’iceberg, la parte visibile di tutto quell’orrore sommerso che lascia corpi femminili sfregiati, sfigurati, e non solo. Spesso il furore distruttivo non risparmia neppure i figli, vittime innocenti delle stragi familiari o spettatori pietrificati delle percosse. Prevenire significa, in concreto, intercettare il rischio di scivolamento nel circuito infernale, aiutando le donne, ammutolite per la paura o per la vergogna, a ritrovare le parole per dire.

Occorrono, cioè, azioni di coaching e di accompagnamento formativo alla fiducia e al coraggio, azioni che possono essere attivate anche nei luoghi di lavoro e che diminuiscono i costi umani, sociali ed anche economici della violenza. Ma, ancor prima, sono necessarie pratiche educative, regole, vigilanza, vigilanza sul linguaggio della comunicazione pubblica e interventi, fin dall’infanzia, sull’uso delle parole, sulla grammatica, sui libri di testo, sui percorsi scolastici, seguendo almeno due obiettivi prioritari: l’educazione ai sentimenti e l’educazione alla corporeità.

Se la maggior parte delle donne viene massacrata da un ex marito, un compagno, un amante, un «fidanzatino», come è stato definito il feroce assassino di Fabiana, comunque da un uomo che aveva un legame sentimentale con la vittima, sarà proprio da lì che bisognerà partire, ossia dai sentimenti. E non sto parlando di sentimentalismo, sia chiaro, ma sto cercando di parlare del diffuso analfabetismo sentimentale, dell’incapacità di riconoscere, di nominare e di esprimere consapevolmente i propri sentimenti. Uomini che ammazzano le loro donne confondono l’amore con il possesso e traducono la frustrazione per un rifiuto, la cosiddetta ferita narcisistica, in un’aggressione fisica, perché la dimensione della vita emotiva, trascurata, è affidata oggi soltanto alla TV dei reality, alle forme effimere che nulla hanno a che vedere con la consapevolezza di sé per la costruzione equilibrata della propria identità di genere e della relazione con l’alterità.

Il secondo aspetto riguarda la questione del corpo delle donne e degli stereotipi che lo riducono a corpo-cosa, a oggetto da esibire e da vendere. Ricordiamo che il sesso a pagamento coinvolge 9 milioni di uomini, e anche qui non possiamo ignorare l’elevato numero di prostitute uccise, prevalentemente immigrate, clandestine, schiave, donne massacrate nel generale silenzio dei media. Non si accendono i riflettori: in genere, basta un trafiletto sui giornali, di loro non si sa nulla.

La loro vita è forse meno sacra, meno inviolabile di quella degli uomini? Se questi sono gli uomini dice il titolo del libro di Iacona, la questione allora non è solo femminile.

Occorre che gli uomini sappiano spezzare quel silenzio complice che produce assuefazione alla violenza di pensiero e di parola, a quella banalità del male, come direbbe Hannah Arendt, che rende insensibili le coscienze. Solo così può essere possibile costruire nuove relazioni tra i generi, che, riconoscendo le rispettive fragilità, sappiano riscrivere nuovi codici relazionali, nuovi linguaggi e generare nuove forme di reciprocità.