edicolaIl tema della liberalizzazione della vendita di giornali e riviste e il conseguente impatto sugli edicolanti è stato affrontato dal Consiglio comunale di Modena, nella seduta di ieri, lunedì 24 giugno, con la discussione di due ordini del giorno presentati da Federico Ricci (Sel) e Paolo Trande (Pd) e l’interrogazione del consigliere Sergio Celloni (Mpa) alla quale ha risposto l’assessore alle Politiche economiche Stefano Prampolini.

L’aula ha approvato la mozione presentata da Trande che esprime “comprensione della preoccupazione degli edicolanti”, auspica “il rispetto in ogni luogo di vendita delle condizioni di parità di trattamento” e impegna la Giunta a chiedere al Governo di “rendere chiara la normativa” per consentire interventi sulla materia a livello locale, “tenendo contro delle altre esigenze oltre quelle puramente economiche”. L’ordine del giorno è passato con il voto favorevole del Pd, tranne Michele Andreana non votante, l’astensione di Modena futura, Sel e Modenasaluteambiente, il voto contrario di Fratelli d’Italia, Mpa e Pdl.

Il Consiglio ha respinto la mozione di Ricci intitolata “Le edicole sono le lanterne della città, quando una di loro chiude è come se si spegnesse un po’ di democrazia”, che avrebbe impegnato il sindaco a “vigilare, come sempre, sul rispetto di leggi e regolamenti di competenza, in particolare in merito all’obbligo, da parte anche della grande distribuzione, di garantire la vendita di tutte le testate, e in merito ai contratti di lavoro”. Hanno votato contro i consiglieri Pd, a eccezione dei non votanti Codeluppi, Cotrino, Morini, Rossi, Trande e Urbelli e dell’astenuta Liotti. A favore Fratelli d’Italia, Modena Futura, Modenasaluteambinente, Pdl e Sel.

Il dibattito si era aperto con l’interrogazione di Celloni, che chiedeva “delucidazioni in merito la necessità di proteggere la piccola categoria degli edicolanti dall’onnivora grande distribuzione”. La risposta dell’assessore Prampolini ha chiarito che “con la normativa europea che in Italia è stata recepita dalla legge 59/2010 gli enti locali non hanno più la facoltà di applicare regimi di autorizzazione alle attività commerciali, fatti salvi i principi di tutela della salute dei lavoratori e dell’ambiente. Non è più possibile effettuare una programmazione sulla base di principi economici, e quindi nemmeno limitare l’apertura di punti vendita di giornali e riviste, se non con modifiche normative”. Così Celloni, in replica: “Le edicole subiranno la feroce concorrenza della grande distribuzione. Le liberalizzazioni andrebbero fatte sulle cose che davvero pesano sulle famiglie, come energia, banche, trasporti”.

Dopo la presentazione dei due ordini del giorno, per l’opposizione è intervenuto Sandro Bellei (Pdl), affermando: “La nostra provincia è tra quelle in cui si leggono meno quotidiani, a livello regionale. In questa situazione togliere clienti alle edicole non è una liberalizzazione, ma un aiuto alla grande distribuzione”. Sempre per il Pdl, Adolfo Morandi ha detto: “I supermercati fanno concorrenza sleale, mentre gli edicolanti, oltre a svolgere una funzione democratica importante, fanno una vita difficile, con dei guadagni spesso risicati”. Per Michele Barcaiuolo (Fratelli d’Italia), “non possiamo fermare una legge nazionale ma possiamo incentivare le edicole esistenti e tutelarle, con iniziative di promozione”. Sandra Poppi (Modenasaluteambiente) ha ricordato che “in questo momento di crisi, in cui anche la diffusione dell’informazione via web mina le vendite dei giornali, vorrei che ci fossero degli interventi più decisi di tutela del lavoro”. Per il Pd sono intervenuti Salvo Cotrino, che ha evidenziato come “la liberalizzazione colpisca la parte debole della filiera editoriale, mentre i distributori che riforniscono le edicole continuano a operare in regime di quasi monopolio territoriale” e Luigi Alberto Pini, ribadendo che “la concorrenza non è di per sé un bene” e che “l’obbligo per le edicole di tenere copie di tutti i quotidiani serve a dare voce a tutte le opinioni”, mentre Paolo Trande ha affermato che “le professioni da liberalizzare sono ben altre, per esempio i notai, e quando si fanno queste leggi bisognerebbe valutare volta per volta gli effetti sul lavoro”.