wandreAll’estero i cultori di strumenti musicali lo celebrano e darebbero qualsiasi cosa per una chitarra Wandrè: farebbero carte false per un modello Brigitte Bardot, Scarabeo, Rock Oval o Bikini, tanto per citarne alcuni. In Italia, negli anni ’60, Celentano, Guccini, Mina e i Nomadi sono tra i primi a usare e amare le chitarre di Antonio Vandrè Pioli, in arte “Wandrè”, ma dopo il successo commerciale di quegli anni su di lui è calato un velo.

Artista, imprenditore fuori dagli schemi, partigiano, capomastro, ma soprattutto uno dei liutai più innovativi del secolo scorso, che negli anni ’50 crea la prima fabbrica di chitarre elettriche in Italia: a dieci anni dalla scomparsa Cavriago, in provincia di Reggio Emilia, ricorda il suo più eclettico cittadino con un weekend di appuntamenti. Domani, sabato 12 aprile alle 17.30 viene presentato il libro “Wandrè. L’artista della chitarra elettrica”, a cura di Marco Ballestri ed edito da Anniversary Books (Sala Rossa al Cinema Novecento in via del Cristo, 12), mentre a partire dalle 9.30 è possibile visitare la mostra “Wandrè. Vita, chitarra e opere” che prosegue fino al 4 maggio presso la falegnameria Musiari (via O. Galli, 7). Si tratta di due eventi che ripercorrono una storia di creatività italiana poco conosciuta, ma che è leggenda per gli appassionati di strumenti vintage in tutto il mondo. Per l’occasione, poi, il celebre designer-liutaio Dieter Gölsdorf rende omaggio a Wandrè presentando, in anteprima mondiale, il nuovo modello di chitarra ispirato all’artista di Cavriago: la Wandrella Duesenberg.

Wandrè (1926-2004) alla fine degli anni Cinquanta fece costruire la sua fabbrica rotonda all’ingresso del paese: in questo innovativo edificio circolare cominciò a realizzare chitarre elettriche, bassi e contrabbassi che ebbero subito un grandissimo successo perché decisamente originali. Creò strumenti dalle forme particolari, sghembe, nati dalla contaminazione fra arte e design: sculture musicali da usare. Perfino nei particolari, nei battipenna, nelle palette, nelle chiavette l’estro del maestro si scatenava inventando soluzioni estreme, senza nulla togliere alla funzionalità dell’oggetto. Per la prima volta, poi, Wandrè utilizzò l’alluminio per la costruzione dei manici e per altre parti meccaniche che diedero alle chitarre una particolare risonanza. E così il modello Rock Oval divenne la prima chitarra elettrica di Adriano Celentano e l’unica mai posseduta da Francesco Guccini che, nella prefazione del libro, la definisce “dalla forma assurda, con dettagli acromegalici che facevano immaginare un qualcosa di futuribile non ancora ben immaginato”. Care a Mina e usate dai Nomadi, le chitarre Wandrè ebbero grande successo anche all’estero: una foto degli anni ’60 ritrae Bob Dylan affascinato da una Rock Oval esposta in una vetrina di Londra; negli anni ’80 una Bikini, prima chitarra ad avere un amplificatore incorporato, accompagnò in tour Ace Frehley dei Kiss; nel 1986 Frank Zappa votò la Davoli Scarabeo come “chitarra dell’anno” a livello internazionale; il chitarrista country-rock Buddy Miller usa tuttora le Wandrè per i suoi concerti.

 

Wandrè, chi era costui? Un libro racconta chi ha reso la chitarra un’opera d’arte

In 288 pagine e attraverso oltre 880 immagini il libro “Wandrè. L’artista della chitarra elettrica” ripercorre la vita di Antonio Pioli dagli anni giovanili – quando è impegnato nella Resistenza – agli anni in cui, conclusa l’avventura della fabbrica di chitarre, sperimenta diversi percorsi artistici. Il volume, curato da Marco Ballestri ed edito dalla casa editrice modenese Anniversary Books, viene presentato domani, sabato 12 aprile, alle ore 17.30 presso il Cinema Novecento di Cavriago. La prefazione è firmata da un musicista che conosce bene gli strumenti di Wandrè: la prima, e unica, chitarra elettrica di Francesco Guccini è stata una Rock Oval: “Wandrè! Chi era costui? – si chiede Guccini nelle prime pagine – …mi raccontano che faceva chitarre, ma non chitarre come hanno da essere le chitarre, piuttosto oggetti dotati di anima propria, ribelli, addirittura pericolose. Ché se fai l’errore di prenderne una in mano rischi di perderti e non ritrovarti mai più. Io li ascolto, sorrido e non dico niente: perché so di cosa stanno parlando (…) una sua chitarra l’ho suonata eccome, fino a distruggermi le dita. (…) Non ho vergogna ad ammettere che mi faceva quasi paura, con quel suo colore rosso scuro e le paillettes che si accendevano sotto la luce dei riflettori da balera”.

Il libro racconta la vita di questo artista geniale e dimenticato dai più, la cui figura è rimasta per decenni avvolta nel mistero: la storia di Wandrè comincia con il padre liutaio, desideroso di realizzare il sogno di mettersi un paio di ali e volare il più in alto possibile. Wandrè ne ricalca le orme, ma solo per raggiungere una meta impossibile: quella di essere sempre coerente con le proprie idee a dispetto di tutto e di tutti. E lo fece: sulle montagne dell’Appennino reggiano, che lo videro partigiano a sedici anni; lo fece coniugando la filosofia con l’edilizia; lo fece con il futurismo pop, il simbolismo e il lirismo erotico delle sue chitarre; lo fece affrontando con il cuoio e la pelle gli anni settanta; lo fece con l’adesione al movimento Fluxus e con il suo recitare la vita, fino alla morte, in un infinito teatro di strada. Il ritratto che emerge è quello di un uomo libero che ha sempre sfidato, attraversandolo e anticipandolo, il proprio tempo; il tempo delle mode, dei luoghi comuni, delle regole forzate.

 

Nella foto: L’ultima performance di Wandrè, intitolata “Fendrè” in cui porta una chitarra Fender da lui modificata sotto il famoso busto di Lenin a Cavriago