Federico Condello

I “Classici” di maggio giungono alla loro quattordicesima edizione: anche quest’anno il Centro Studi “La permanenza del Classico” dell’Università di Bologna, fondato e diretto dal prof. Ivano Dionigi, offre all’Università e alla città un ciclo di letture e lezioni classiche che parleranno del nostro presente attraverso i grandi testi dell’antichità greca e romana, per interpellare la nostra identità di cittadini e di uomini. Il ciclo di quest’anno s’intitola Homo sum: la parola più semplice e più disarmata, la parola più forte e più profonda che possiamo pronunciare.

Gli incontri avranno luogo, come d’abitudine, ogni giovedì di maggio (7, 14, 21, 28 maggio), alle ore 21, nell’Aula Magna di Santa Lucia e nella contigua Aula Absidale videocollegata. Tutte le serate saranno anche trasmesse in diretta streaming, visibili sul sito web del Centro Studi. Ad inaugurare il ciclo, giovedì 7 maggio, sarà la serata “Tyche. Del conoscere”, che vedrà la messinscena del più enigmatico e conturbante dramma dell’antichità, l’”Edipo re” di Sofocle, realizzata e diretta da una delle più vivaci compagnie del teatro contemporaneo, Archivio Zeta – Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni, con il commento di un maestro indiscusso della psicoanalisi, Massimo Recalcati. Per l’occasione, l’Aula Magna di Santa Lucia diventerà teatro di suoni e di voci, con le musiche di Patrizio Barontini e la regia sonora dell’équipe internazionale Tempo Reale.

Caso, conoscenza, politica L’Edipo re è il “re” di tutti i drammi: così si è espresso un antico erudito, e così hanno pensato in tanti, dall’Aristotele che nella Poetica elegge l’Edipo a esempio di trama perfetta, fino a Freud, che al rintoccare del Novecento ne ha fatto la trama stessa della nostra psiche. Eppure, quando Sofocle presentò il suo Edipo al pubblico di Atene, la tragedia non piacque e uscì sconfitta dal concorso teatrale. La storia di Edipo è quella di un “re democratico” sospeso fra amore del proprio popolo e rischio dell’assolutismo, della tyrannis; un “re democratico” che è re finché ignora i propri legami con il genos, la “famiglia” regnante di Tebe, e che cessa d’essere re proprio quando i suoi diritti di erede vengono alla luce, insieme ai suoi involontari ma abominevoli delitti, parricidio e incesto. Nell’Edipo re, in effetti, si è riconosciuta una vicenda folclorica diffusissima: quella del principe-trovatello dalle origini misteriose, che torna nel regno dal quale un antagonista regale (maschio e più vecchio) l’ha scacciato bambino; superate le doverose prove eroi­che, e ucciso l’antagonista, egli conquista la mano di una regina o principessa, per essere infine solennemente riconosciuto: l’oscuro eroe altri non è che il legittimo erede al trono, e con la neo-sposa egli conquista anche il regno.

È facile vedere come Sofocle abbia ribaltato il senso della favoletta, trasformandola in quella che Schiller definì una «analisi tragica», perché l’unica storia a cui noi assistiamo è la ricostruzione di una storia passata e dimenticata. Nella inarrestabile consequenzialità di tale storia, un eroe ignoto a sé e agli altri regna – e regna bene – solo finché il genos non torna a imprigionarlo nelle maglie di reticoli parentali moltiplicati (madri-mogli, figli-fratelli e figlie-sorelle: una sorta di super-genos). Per questo, all’inizio del dram­ma, un sovrano amato e benevolo esce dal palazzo di famiglia per incontrare il suo popolo; nel finale, egli è fatto prigioniero di quello stesso palazzo, e invoca vanamente l’esilio.

È questa, in filigrana, la storia di un progetto politico culturale che tentò di far convivere familismo aristocratico e democrazia? Religione tradizionale e nuove, rivoluzionarie forme di razionalità, dalla scienza medica alla cosiddetta “sofistica”? Riconoscimento della tyche – del “caso” – come ineliminabile fattore storico, e controllo razionale degli eventi? Per noi, oggi, dopo secoli di riscritture e riletture, l’Edipo re è vicenda più individuale che politica: è – complice Freud – una storia da teatro interiore, che narra del nostro più profondo “essere (o divenire) uomini”, della nostra incapacità di conoscere, della nostra sottomissione alla Tyche. Ma questa storia – è bene non dimenticarlo – narra anche di politica, di comunità, di tyrannis e di demokratia: e forse, nel finale e solitario homo sum di Edipo, della politica esprime la più tragica nostalgia.