E’ di questi giorni la notizia, sui principali quotidiani finanziari, che il governo Gentiloni mette “sulla rampa di lancio le privatizzazioni”. Si parte con la seconda trance di Poste Italiane, tutto il 29,7% rimasto di proprietà dello Stato. Il 35,3% era già stato quotato in borsa nell’Ottobre 2015 e l’altro 35% è passato sotto la Cassa Depositi e Prestiti, ove sono presenti anche le banche con le loro fondazioni. Viene spontaneo dire che avevamo visto giusto giudicando solo come una sospensione temporanea la mancata privatizzazione del 29,7% nell’ottobre scorso.

Le motivazioni che avevano spinto queste organizzazioni sindacali, a differenza di altre che si erano fidate delle belle parole del precedente governo, allo sciopero generale nazionale dello scorso 4 novembre c’erano e restano tutte. Non possiamo e non dobbiamo tacere. La decisione di svendere i gioielli di famiglia (oltre a Poste si parla anche delle Ferrovie) nel vano tentativo di arginare un debito pubblico fuori controllo, solo per rispettare le promesse fatte all’Europa, sta demolendo una delle poche aziende sane del nostro Paese. Poste si è trasformata, grazie ai tanti sacrifici dei lavoratori ed agli sforzi del sindacato, da vecchio “carrozzone pubblico pieno di debiti” a moderna azienda di servizi che genera attivi di bilancio da oltre un decennio, distribuendo dividendi agli azionisti. Il 2016 si chiude con un attivo di circa un miliardo di euro. Quanto ha già perso lo Stato italiano avendo ceduto il 70,3% della sua quota? Ci chiediamo perché il governo, ora che Poste produce ricchezza debba insistere a svendere al capitale privato? Svendere perché il titolo, quotato e venduto a € 6,75 ad ottobre 2015, ora vale poco meno di 6 €, perciò si tratta di vendere al ribasso, che è stato uno dei motivi per cui si era preso tempo lo scorso autunno. O erano solo manovre elettorali dovute alla scadenza referendaria?

Ora SLP-CISL e SLC-CGIL riprenderanno la mobilitazione. Con più forza di prima, coinvolgendo i lavoratori, le forze politiche, le istituzioni e i parlamentari della regione, e chiunque voglia ascoltarci, chiedendo l’impegno anche delle segreterie nazionali.

Chiediamo a quell’organizzazione sindacale che si era fidata della sospensione del provvedimento e che aveva “consigliato” di non scioperare il 4 Novembre, perché Poste non era a rischio privatizzazione, ora alla luce dei fatti, credete ancora che non venderanno completamente e che non spacchetteranno Poste Italiane?

Noi, forti di aver avuto ragione (purtroppo), andremo avanti con la mobilitazione, fino alla fine. Non ci fermeremo e non ci fermeranno.