Cenni di vita marina, ora fossili, riemergono dalle trincee della Grande Guerra al confine tra Italia ed Austria. Ricercatori del Dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche di Unimore, assieme a colleghi della Ohio State University di Columbus e dell’Austrian Academy of Sciences di Vienna, hanno pubblicato sulla rivista scientifica open access Geologica Acta un lavoro intitolato Stars in the Silurian sky. A case study from the Carnic Alps, Austria a cui hanno collaborato anche docenti dell’Università di Cagliari.

Gli studi, finanziati su fondi FAR 2014 di Unimore, dall’United Nations International Geoscience Programme e dalla National Science Foundation (USA), hanno riguardato resti fossili di crinoidi, lontani antenati dei gigli di mare, organismi rassomiglianti a fiori, dotati di bocca e di “petali” con cui catturavano il plancton e la cui vita scorreva ancorata al fondo marino grazie ad un organo a forma di stella, da cui il titolo del lavoro pubblicato, posto all’estremità di un lungo stelo.

Questi piccoli anelli di adesione, preservati in ossidi di ferro, appartenevano ad individui molto giovani, appena usciti dallo stadio larvale. Essi rappresentano l’unica parte rimasta sotto forma di fossile dei baby crinoidi, il cui scheletro era costituito da minuscoli elementi di calcite tenuti assieme da materiale organico in grado di decomporsi in un solo giorno dalla morte dell’organismo e disperdere nelle acque circostanti gli elementi mineralizzati del crinoide.

Resti fossili di esemplari giovanili sono estremamente rari e ancora più strano è il fatto che tali organismi non fossero attaccati alle rocce quando morirono: se infatti gli odierni gigli di mare sono in grado di staccare la loro àncora dal fondo per percorrere brevi distanze, lo stesso non valeva per questi crinoidi che vivevano la loro esistenza ancorati ad un punto, ragione per la quale gli scienziati non erano finora stati in grado di spiegare la loro così ampia diffusione geografica.

I ritrovamenti hanno aperto la strada a nuove possibilità: infatti i crinoidi ritrovati probabilmente erano ancorati non al fondale, ma ad oggetti fluttuanti come letti di alghe o cefalopodi che li condussero lontano da dove si erano formati come larve, spiegando così la capacità di questi antichi organismi di diffondersi su un territorio così ampio.

Ad aggiungere fascino alla scoperta scientifica è il luogo di ritrovamento di questi resti fossilizzati: le Alpi tra l’Austria e l’Italia, all’interno della Formazione a Cardiola, emersa nello scavo di una trincea della Grande Guerra, dove 425 milioni di anni fa scorreva l’acqua che ospitava i crinoidi e dove, moltissimo tempo dopo, proprio un secolo fa, venivano collocate le trincee della Prima Guerra mondiale. A condividere gli studi oggi sono ricercatori di nazionalità che allora si trovavano dalle parti opposte della barricata.

“L’interesse per i crinoidi – ha spiegato la prof.ssa Annalisa Ferretti, docente Unimore e primo autore dell’articolo – non è solo da spiegare come interesse generale all’evoluzione del Pianeta. I crinoidi hanno infatti vissuto per milioni di anni, attraverso cambiamenti climatici, fino ad evolversi nei gigli di mare che conosciamo oggi, per cui l’attenzione nei loro confronti nasce dall’esigenza di approfondire la loro capacità eccezionale di sopravvivenza, in condizioni differenti nel tempo. Gli stessi luoghi diventati tristemente famosi come teatro di morte si sono rivelati oltre 400 milioni di anni fa una inaspettata culla di vita di cuccioli di organismi fossili. Era il periodo in cui i crinoidi rischiaravano i profondi abissi dell’oceano antico e la vita scorreva fresca nell’acqua; quello stesso brulichio vitale che ancora oggi, per quanto sopito dal grigio della roccia che li racchiude, è in grado di rivelarci gli arcani segreti del tempo dimenticato.”