Un calice di vino degustato in settantatré modi diversi. È possibile o è pura fantasia? Ce lo spiegano Simone Zanin e Raffaella Melotti in un libro uscito per Pendragon, che prendendo ispirazione dagli “Esercizi di stile” di Queneau, racconta lo stesso vino in ben settantatré modi differenti.

Innanzitutto, com’è nata un’idea così curiosa e originale?

L’ idea nasce da due passioni comuni:  il vino, sul quale ci siamo formati insieme e, la scrittura, a cui siamo arrivati in modi diversi ma con stesso approccio curioso verso la scoperta e la sperimentazione. Ci siamo divertiti, sin dai primi momenti della nostra conoscenza, a ‘giocare con le parole’, verbalmente, su whatsapp e sui social. I nostri giochi  ‘cadevano’ quasi sempre su un tema: il vino e la sua degustazione. Si scrive tanto di questa pratica, peraltro difficile e, a volte, banalizzata e stereotipata: se ne scrive spesso in modo rigido e formalizzato, noi volevamo farlo in modo diverso, uscendo dagli schemi del vino e entrando in quelli della parola. Da qui… Queneau.

Quale vino avete scelto per fare un’operazione così complessa e cosa vi ha guidato nella vostra decisione?

Serviva un vino conosciuto, identificabile  nelle sue caratteristiche dalla maggior parte delle persone, un vino che avesse storia e tradizione e permettesse di sfruttarne le molte dimensioni. Il Barolo, quindi, vino che incarna la viticultura italiana. Il nebbiolo, vitigno elegante e raffinato, potente ed austero. Abbiamo voluto concentrarci sul vino e sull’idea che quel vino riflette nel sentire comune, farne un inno e una consacrazione, tra descrizione tecnica e ironia, tra serietà e vezzo.

Si passa da figure retoriche a stili narrativi, da stili poetici a stili tecnici: come avete diviso il lavoro? In base alle vostre inclinazioni e conoscenze letterarie personali o al desiderio di mettervi alla prova in qualcosa di più lontano da voi?

Il lavoro nasce insieme e in base al sentire uno stile più personale rispetto ad un altro: Simone preparato nella parte letteraria, Raffaella più incline a quella creativa. Abbiamo lavorato a stretto contatto e poi rivisto insieme i diversi stili.

Oltre il puro divertissement, oltre la dimostrazione di quanto è multiforme la lingua del vino, che desiderio c’è dietro a “Esercizi di Stille” e a quale pubblico avete pensato mentre lo scrivevate?

Hai colto bene cos’è Esercizi di Stille: non solo divertissement, ma anche lavoro di scavo e dimostrazione della complessità e bellezza della lingua italiana (e, quindi, della lingua del vino), dei suoi registri stilistici, un viaggio nelle possibilità. La cornice è quella cara alla letteratura potenziale, fatta di modelli, suggerimenti, ipotesi che spingono a uscire dai soliti schemi della degustazione per rientrare in quelli della soggettività a scapito di una ricerca e tensione umana all’oggettività.

Per chi? Per tutti quelli che amano il gioco e la sua serietà, utilizzato come stimolo alla scoperta di vie nuove e suggestioni sempre in divenire. Esercizi di stille non è, infatti, un lavoro finito, ma un invito a continuare a esplorare, un incentivo alla curiosità.

Siete entrambi Sommelier Fisar. Da quanto vi conoscete e di feeling professionale c’è bisogno per scrivere un libro sul vino insieme?

Il feeling professionale e personale è importante per affrontare tutti i percorsi insieme che comprendono obiettivi comuni, per noi lo è stato, come la sommellerie in cui ricopriamo ruoli istituzionali. Un condivisione bella e stimolante. Ci troviamo bene insieme, abbiamo una visione comune sul lavoro e  una complementarietà di approccio. Amiamo scherzare e divertirci con sobrietà, nella vita come nel vino.

(Intervista di Eliselle)

Link libro: http://www.pendragon.it/libro.do?id=2675