Preoccupa invece la possibilità paradossale di penalizzazioni a categorie come quella degli agricoltori, che hanno versato contributi e finiranno col percepire meno di chi non ha versato nulla.

Con quota 100 si evidenzia un cambio di tendenza rispetto alla “Legge Fornero”. Si tratta, di fatto, solo di un ritocco non strutturale sulla possibilità di andare in pensione dopo i 62 anni.  Inoltre le finestre trimestrali per i lavoratori del privato e semestrali per i pubblici sono restrizioni che inevitabilmente scoraggeranno i possibili fruitori della misura.   Andrebbero date, invece, garanzie e certezze ai lavoratori di quello che sarà il loro futuro pensionistico, per questo deve essere anche superato il meccanismo che lega l’età di pensione all’aspettativa di vita. Questo il commento di Antonio Barile, presidente nazionale di Inac-Istituto nazionale assistenza cittadini promosso da Cia-Agricoltori Italiani alle misure contenute nel Decreto collegato alla manovra di Bilancio. Mentre per circa un milione di pensionati ex agricoltori -spiega Barile-  quasi tutti con assegni al minimo, non sembra esserci alcun beneficio.

“La questione che proprio non torna, e che rappresenterebbe un vero paradosso -aggiunge il Presidente del Patronato Inac- è riferita alla pensione di cittadinanza: questa garantisce, a persone che non hanno versato un solo euro di contributi, assegni di importi superiore a quelli destinati agli agricoltori. Quindi, chi ha lavorato una vita in agricoltura, versando i regolari contributi, rimarrà con una pensione al di sotto della soglia di povertà. Quest’anno -stima l’Inac-Istituto nazionale assistenza cittadini-  gli agricoltori che andranno in pensione rappresentano circa 3 per cento della platea complessiva.