Lucio Sorrentino (1929-1993), sabato 1 giugno inaugurazione della mostra retrospettiva
a cura di Sergio Annovi e Luca Silingardi, presso PaggeriArte in Piazzale Della Rosa. Vernissage sabato 1 giugno, ore 18. Interverranno i curatori e i figli del pittore. La mostra rimarrà aperta sino al 23 giugno nei seguenti giorni: martedì – venerdì – sabato e domenica (9.30 -12.30 e 15.30 -19.00).

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Accanto al Lucio Sorrentino forse più noto e un po’ oleografico, quello dei paesaggi con antichi edifici e degli scorci urbani della vecchia Sassuolo negli anni settanta e ottanta del Novecento – “Ducal Terra” dimenticata e ancora fatiscente, con i vicoli scrostati e i portoni “sgarrupati” – o a quello più onirico ed eroico, con le immagini surrealiste che rimandano quasi sempre alla costrizione, alla prigionia e all’impossibilità di liberare la propria forza interiore, c’è un Sorrentino diverso, meno noto ai più, che medita sul disagio esistenziale, sfiorando, per certi versi, la metafisica. È un Sorrentino che sente il “male di vivere” sotteso alla negazione di ogni illusione e che è capace, col suo guardare ai particolari apparentemente più insignificanti incontrati nella quotidianità – attraverso un’indagine pittorica meticolosa e otticistica – di cogliere il “varco” verso l’essenza delle cose: quell’istantanea percezione di rivelazione di nullità dell’esistenza in cui gli stessi oggetti – “correlativi-oggettivi” per dare espressione artistica all’emozione altrimenti impossibile da tradurre in parole come in immagini – si dissolvono. Proprio come nella “poetica degli oggetti” di Eliot e di Montale – autori letti e amati dal pittore – l’apparentemente insignificante si carica di valori simbolici, spalancando a significati che trascendono la semplice rappresentazione. Dietro la finzione di una mancata ispirazione – geniale Il quadro lo farò domani (1975), con la raffigurazione, dal particolare taglio fotografico, della tela bianca sul cavalletto, oppure Il centro (1979), con un cestino pieno di cartacce visto dall’alto su un pavimento a piastrelle esagonali, come appare a chi guarda sconsolato verso il basso, rovistando con lo sguardo in cerca di qualche idea – si cela, infatti, la consapevolezza di rappresentare ciò che appare inutile, per poter andare oltre, trascendendo il reale.

È come se la quotidianità, altre volte vista in modo surreale come un legaccio – La corda (1974) o Il grande cavallo (1974) – o una rete che impiglia – Le reti (1975) – o come un muro di mille e mille sassi posti faticosamente l’uno dopo l’altro – Giorno dopo giorno (1974) – gli offrisse invece l’opportunità di uscire dal tran-tran che, come avevano desiderato i suoi genitori, forse fin dalla sua nascita nel 1929 a Napoli, lo aveva condotto, dopo gli studi classici, al rispettabile impiego di cancelliere della pretura di Sassuolo, non lasciandogli abbastanza tempo, però, per sé e per la sua passione: la pittura. Un amore per l’arte ereditato dal nonno, che aveva frequentato l’Accademia di Belle Arti di Napoli assieme al celebre Domenico Morelli e che gli aveva trasmesso i primi rudimenti della materia, ma che non aveva potuto trovare sostegno e forza in un organico percorso di studi.

È dunque quasi da autodidatta e senza alcuna velleità di affermazione che Lucio Sorrentino si è avvicinato alla pittura fin dalla giovane età, senza più discostarsene, seppur costretto a relegarla ai ritagli tempo che l’impegnativa professione gli lasciava. Il congedo dal lavoro, all’inizio degli anni ottanta, gli ha poi finalmente permesso di dedicarsi totalmente alla pittura. Eppure, se si guarda la sua produzione, sono proprio gli anni settanta e i primissimi anni ottanta quelli che sembrano più prolifici per idee compositive e qualità pittorica; quasi come se il raggiungimento dell’agognato traguardo avesse affievolito in lui il fuoco che, invece, l’odiato e monotono tran-tran teneva più vivo, nonostante il minore tempo a disposizione. Sono degli stessi anni – ma con riprese dei temi pure successive – anche i suoi splendidi trompe-l’oeil: “inganni ad arte” che rientrano nella sua “poetica degli oggetti” e che ricorrono anche all’applicazione di parti vere – spago, legno, etichette ecc. – per sorprendere ancora di più il fruitore, spinto a toccare l’opera per accertarsi della realistica finzione o, viceversa, delle sue componenti oggettivamente materiali. A metà tra settecentesca tradizione crespiana e moderna Pop art, sono queste le migliori prove di Sorrentino, ma anche le più complesse da proporre al pubblico, al quale – forse sottovalutandone le capacità critiche – nel passato si è quasi sempre preferito offrire, invece, il rassicurante Sorrentino degli acquerelli e degli olii su tela con scorci urbani. Anche se è vero, comunque, che persino queste opere, seppur decisamente addentro al solco della tradizione figurativa e apparentemente comuni, non mancano di connotarsi per il punto di stile ben sopra la media e per il particolare taglio visivo scelto. Nel gallerista Sergio Annovi, praticamente l’unico operatore del mondo dell’arte che si è sempre prodigato per favorirne la conoscenza e il successo di pubblico, Sorrentino non aveva trovato solo un intelligente estimatore della propria pittura ma anche un grande amico. Sicuramente, infatti, la Galleria Annovi di via Radici a Sassuolo fu uno stimolante luogo di confronto per Sorrentino – artista altrimenti piuttosto schivo – nonché di diffusione delle proprie opere tra i collezionisti: qui sono nate molte delle idee poi approdate sulla tela e tutti i suoi progetti espositivi sassolesi, compresa quest’ultima retrospettiva, a ventisei anni dalla morte del pittore e a sedici dalla precedente esposizione a lui dedicata. Annovi e i figli di Lucio, Tullio e Paolo, possono davvero essere considerati i maggiori detentori della memoria del pittore. Una memoria che, anche grazie ai prestiti di numerosi collezionisti, questa mostra intende condividere e diffondere, nella certezza che il percorso artistico di Lucio Sorrentino sia riuscito ad andare ben oltre la mera “confessione diaristica” del semplice amatore autodidatta che si dedica alla pittura saltuariamente, raggiungendo invece quell’universalità di intenti propria della vera arte; quell’universalità in cui chiunque può ritrovare sé stesso
e le risposte alle proprie domande.

Luca Silingardi, co-curatore della mostra

Informazioni: Galleria Annovi Arte Contemporanea: 0536 80 78 37