La micropaleontologia – una disciplina scientifica che ha un ruolo importante per lo studio dei cambiamenti climatici e che occupa oggi migliaia di ricercatori in tutto il mondo – vide la luce per la prima volta a Bologna, nel 1711. La conferma – riportata da un gruppo di ricercatori e studiosi dell’Università di Bologna sulla rivista Micropaleontology – arriva dallo studio di alcuni antichi manoscritti e soprattutto grazie al ritrovamento, tra le collezioni del Museo Capellini, dei campioni originali che furono oggetto della prima analisi micropaleontologica di cui si ha notizia.

Nella loro ricostruzione, gli studiosi dell’Alma Mater documentano il primato del bolognese Jacopo Bartolomeo Beccari, che nel 1711 analizzò per la prima volta alcuni microfossili avvolti a spirale trovati in un campione di sabbie gialle proveniente dalle prime colline bolognesi, nell’area dove sorge la Rotonda della Madonna del Monte.

“Beccari ha seguito un rigoroso e sostanzialmente moderno metodo scientifico nell’esecuzione delle sue analisi”, spiega Stefano Claudio Vaiani, ricercatore dell’Università di Bologna, primo autore dello studio. “Nel suo lavoro, ha descritto accuratamente il materiale esaminato, ha spiegato la metodologia usata per separare i microfossili dalla roccia – molto simile a quella in uso ancora oggi – e ne ha illustrato le principali caratteristiche”. Una procedura accurata e in linea con il metodo scientifico che, utilizzata per la prima volta su questi minuscoli reperti fossili, segna la nascita della micropaleontologia.

 

MICRORGANISMI FOSSILI

I campioni analizzati da Beccari, e poi revisionati da Luigi Ferdinando Marsili, sono stati ritrovati al Museo Capellini dell’Università di Bologna tra le collezioni di Carlo Fornasini, scienziato bolognese di fine Ottocento. La scoperta, insieme all’analisi di antichi manoscritti e articoli custoditi all’Accademia delle Scienze, ha permesso ai ricercatori dell’Università di Bologna di attribuire a Beccari il ruolo di fondatore della micropaleontologia nei suoi contenuti, metodi e obiettivi moderni.

Oggetto di questa disciplina è infatti lo studio di microrganismi fossili che vengono estratti dalle rocce: grazie alle moderne tecniche di analisi, i ricercatori sono in grado di individuarne l’età e, mettendoli a confronto con microrganismi simili viventi, riescono a ricostruire il loro antico ambiente d’origine. Tutte informazioni che, oltre ad ampliare la conoscenza degli ecosistemi presenti milioni di anni fa sul nostro pianeta, hanno anche un ruolo determinante per lo studio degli odierni cambiamenti climatici e dell’acidificazione degli oceani.

 

CORNI D’AMMONE

Usando il microscopio che era stato di Marcello Malpighi, nella sua analisi del 1711 Jacopo Bartolomeo Beccari riuscì ad individuare alcuni microrganismi fossilizzati che presentavano una forma a spirale. Li descrisse quindi in un articolo, considerandoli microscopici molluschi del genere Nautilus, e gli diede il nome di “Corni d’Ammone”, ispirandosi all’antica divinità egizia Ammon, rappresentata spesso come un ariete con le corna ricurve. Inoltre, confrontandoli con microrganismi del tutto simili (ma non fossilizzati) trovati sulla spiaggia di Rimini, riuscì a fornire una corretta interpretazione del loro habitat originario.

“La ricostruzione di questo studio di Beccari offre alla città e all’Università di Bologna una priorità storica e scientifica di grande rilevanza per le Scienze della Terra”, dice Stefano Claudio Vaiani. “Primato che non è certo casuale: proprio a Bologna, infatti, un secolo prima di Beccari veniva coniata la parola ‘Geologia’ dal genio di Ulisse Aldrovandi, che nel 1547 istituì anche, sempre a Bologna, il primo museo di storia naturale al mondo”.

 

AMMONIA BECCARII

La rilevanza della scoperta di Beccari, del resto, fu presto riconosciuta anche dai suoi contemporanei. Tanto che nel 1758 Carl Nilsson Linnaeus, inventore del moderno sistema di nomenclatura binomiale (sistema di Linneo) utilizzato per catalogare le specie viventi, assegnò ai microrganismi scoperti dallo scienziato bolognese il nome Nautilus beccarii.

Il nome tuttora in uso – Ammonia beccarii – venne stabilito poco dopo, nel 1772. Mentre nel 1835, più di un secolo dopo la loro prima osservazione, questi organismi vennero correttamente riconosciuti non come molluschi ma come foraminiferi: organismi unicellulari capaci di produrre un microscopico guscio carbonatico.

 

I PROTAGONISTI DELLO STUDIO

La ricostruzione della prima analisi micropaleontologica ad opera di Beccari è stata pubblicata sulla rivista Micropaleontology con il titolo “From Ammonites to Ammonia, a tale on the early history of micropaleontology by Jacopo Bartolomeo Beccari (1682-1766)”.

Lo studio è stato realizzato da Stefano Claudio Vaiani del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna e da Gian Battista Vai, Anna Maria Borsetti e Carlo Sarti del Museo Capellini.

I manoscritti e i campioni originali di Beccari saranno per la prima volta esposti al pubblico nel maggio del 2020 al Museo Capellini, in occasione del prossimo congresso della Società Paleontologica Italiana, che sarà ospitato all’Università di Bologna.