Foto di Juraj Varga da Pixabay

Sul fatto che l’obbligo della mascherina a scuola sia un provvedimento scomodo e faticoso da applicare non ci piove.

Ma quando diventa fonte di malessere per lo studente e rende incompatibile la didattica in presenza dovrebbe esserci un modo ragionevole per sfruttare la DAD, che peraltro è operativa tutti i giorni per il 50% della classe che a turno segue a distanza.

Sono la mamma, amareggiata, di una studentessa del Liceo sassolese che si trova a dover affrontare disarmata questa problematica.

Già ad ottobre la ragazza in classe presenta serie difficoltà a tenere la mascherina per cinque ore, lamenta pesanti giramenti di testa e fatica a respirare, spesso esce dall’aula per “prendere fiato” e recuperare la concentrazione, e il seguire le lezioni diventa un impegno molto oneroso.

Dopo poco tempo l’introduzione del lockdown “risolve” temporaneamente il problema e, come si suol dire, diamo un calcio alla palla.

A gennaio le scuole riaprono e, nonostante le presenze dimezzate e il distanziamento, l’obbligo di mascherina ovviamente permane; la studentessa riprova a frequentare in presenza, ma i disturbi si ripresentano identici.

Ci rivolgiamo allora al medico di base che afferma di non poter certificare “uno stato di malessere riferito” e, da questo, trarre la conseguente richiesta di attivazione della didattica a distanza “in toto”.

È necessario che i disturbi siano sostenuti da una solida diagnosi e prescrive una consulenza presso lo specialista pneumologo: nonostante la ragazza sia in perfetto stato di salute e non manifesti difficoltà alcuna a respirare anche durante l’attività sportiva, va valutata la sua non capacità di adattamento all’utilizzo della mascherina.

Così sia.

Inoltro per mail la richiesta all’istituto, ma la segreteria scolastica, facendo riferimento alla normativa vigente, sostiene che l’attivazione della DAD è prevista esclusivamente per i casi di positività Covid, la quarantena, patologie certificate o stati di immunodepressione.

Insisto scrivendo direttamente alla dirigente scolastica, allegando tutta la scarna documentazione medica in mio possesso e sottolineando il fatto che di questa situazione ne sta facendo pesantemente le spese la studentessa, che si trova per tre giorni alla settimana a casa impossibilitata a seguire le lezioni a distanza, a fare verifiche e a sostenere interrogazioni.

La risposta è sempre e inesorabilmente la stessa: serve un certificato firmato da un medico.

A nulla valgono le mie insistenze, (intanto i giorni passano!!!) la scuola se ne lava le mani preferendo ottemperare alla norma burocratica piuttosto che assumersi la responsabilità di autorizzare senza oneri aggiuntivi una DAD già esistente che favorirebbe oltremodo la studentessa e le consentirebbe di non collezionare inutili assenze.

Andremo a fare questa visita pneumologica, ma se, come prevedibile, non si dovesse riscontrare alcuna condizione patologica che sostenga la tesi della richiesta di DAD sarò di nuovo a capo col problema, a questo punto irrisolvibile.

Non sono dettagli, non sono sciocchezze, non esigenze accessorie.

E se anche ci fossero cause psicosomatiche o motivazioni ansiose, il problema esiste e la scuola dovrebbe farsene carico, interrompendo questo odioso circolo vizioso di scarico di responsabilità, perché il suo ruolo è quello di garantire il diritto allo studio.

Non vengono dati il giusto peso e credito alla voce della studentessa, che in questo modo ha la netta percezione di una scuola disinteressata, ignava e lontana dalle sue necessità.

Da genitore provo l’amara esperienza dell’inefficacia dei miei interventi, sia sul fronte scolastico che medico e mi rassegno, orgogliosa, a tutelare il benessere psicofisico di mia figlia come posso, sostenendola nelle assenze, creando occasioni di scambio con i suoi compagni di classe, aiutandola nel recupero di argomenti persi avendo in definitiva come unico obiettivo finale il suo benessere.

Non mi sento in colpa per questo  atteggiamento e continuerò a lottare contro questi mulini a vento di inspiegabile immobilismo decisionale e pigro rifiuto di assunzioni di responsabilità, tipici ahimè di quest’ultima versione della nostra società, tutta intenta circa le procedure e nel frattempo distratta sul risultato finale.

Ai posteri la sentenza, davvero ardua.

D.E.