Modena è, dopo Bologna, la seconda provincia in Emilia-Romagna per numero di assunzioni effettuate nel 2022. Secondo i dati dell’Agenzia regionale per il lavoro, tra gennaio e dicembre dell’anno scorso sono state 105.856.

Di queste, però, solo 19.430 sono contratti a tempo indeterminato, a fronte di 86.426 assunzioni non stabili: 41.928 a termine, 6.137 in apprendistato, 2.278 stagionali, 25.715 in somministrazione, 10.368 con contratto intermittente.

Naturalmente l’anno scorso ci sono state anche molte cessazioni, ma il saldo è ampiamente positivo: 5.414 unità, con Modena sempre seconda in regione dopo Bologna.

«Dopo la contrazione del 2020 per gli effetti dell’emergenza sanitaria e la lenta ripresa del 2021, i numeri dell’anno scorso ci confermano che la nostra provincia non è semplicemente un vagone agganciato al treno della ripresa economica, ma una è delle locomotive che trainano la crescita del Pil a livello regionale e nazionale – commenta la segretaria generale della Cisl Emilia Centrale Rosamaria Papaleo – È sicuramente una buona notizia, anche perché il trend sta continuando.

Quello che non va bene è la tipologia delle nuove assunzioni. È vero che il lavoro a tempo indeterminato cresce e quello a tempo determinato cala, ma il rapporto resta troppo sbilanciato a favore del secondo. Insomma, il lavoro non manca, ma resta precario».

L’altro grosso problema evidenziato dalla Cisl riguarda le donne.

Pur essendo Modena ai primi posti nella classifica italiana sul lavoro femminile, anche nella nostra provincia le donne sono dietro agli uomini in tutti gli indicatori sul mercato del lavoro.

Prendiamo il tasso di occupazione nella classe di età 15-64 anni: 76% per i maschi, 65,9 per le femmine. Oppure il tasso di inattività: 20,6% per gli uomini, 29,8 per le donne.

Idem per il tasso di disoccupazione: 4,2% quello maschile, 6,2 quello femminile.

«Nel mercato del lavoro il divario di genere è ancora troppo ampio – afferma Papaleo – Non solo ci sono meno donne occupate rispetto agli uomini, ma il lavoro femminile è più precario di quello maschile. Questo si ripercuote sulle retribuzioni pro capite: le donne guadagnano in valore assoluto circa il 30% meno dei colleghi».

Cosa fare? La Cisl propone di intervenire prima dell’ingresso nel mercato del lavoro con progetti che avvicinino le ragazze al digitale e alle materie Stem (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica), colmando il deficit di competenze che i datori di lavoro lamentano in questi ambiti.

Inoltre si deve aumentare la premialità per le aziende che si impegnano a garantire parità di genere.

«Serve anche – aggiunge Papaleo – incentivare fiscalmente il welfare aziendale contrattato in modo da incidere positivamente sull’impiego femminile e sulla conciliazione tra orari di lavoro e cura della famiglia.

Infine ci aspettiamo buoni risultati dalla recente legge sulla parità retributiva, grazie alla quale – conclude la segretaria generale della Cisl Emilia Centrale – si dovrebbe finalmente superare un divario che ogni anno costa all’Italia circa l’8% del Pil».