Non sono giustificati in alcun modo i “metodi violenti” per indurre il tossicodipendente a disintossicarsi. Lo rileva la Cassazione occupandosi di una vicenda triste accaduta a Rolo, in provincia di Reggio Emilia, dove una giovane tossicodipendente, nel giugno 2006, venne prelevata a forza dalla sua abitazione per essere trasportata in un altra casa appositamente attrezzata allo scopo di sottrarla alla dipendenza da cocaina.

I giudici supremi confermano la sentenza della Corte d’appello di Bologna che nel maggio 2009 condannò per sequestro di persona l’autore del rapimento a fin di bene.

Invano l’autore del sequestro, uno dei familiari della ragazza convinto che quella fosse l’unica modalità per salvarla dalla spirale della droga, ha invocato in Cassazione l’esimente dello stato di necessità, sostenendo di avere agito anche su consiglio medico. La Quinta sezione penale ha respinto la linea difensiva del ricorrente e ha osservato che “la convinzione” che la ragazza “sarebbe ricaduta nel vizio, anche se fondata da un dato di esperienza, non può dirsi fondata su dati certi nè tale poteva essere ritenuta dal ricorrente, senza più concreto e concludente riscontro obiettivo che non è desumibile dalla motivazione della pronuncia”.

La Suprema Corte spiega poi che non può essere considerato “sussidio probatorio” la “dimostrazione di un consiglio medico di portare la ragazza lontano dall’ambiente di genesi del comportamento, non essendovi prova che la modalità di questa dislocazione dovesse essere violenta e in contrasto alla volontà della predetta”.

Per la Cassazione, “l’avvio dell’azione di sequestro” della tossicodipendente “fu indubitabilmente violento, avendo escluso la fisica limitazione motoria alla ragazza per un periodo di tempo apprezzabile”. Inoltre, gli ‘ermellini’, a dimostrazione della legittimità della condanna del familiare, rileva che la ragazza “per quanto avesse assecondato i disegni del suo rapitore, fece di tutto, sullo scorcio della vicenda, per liberarsi della detenzione, scrivendo biglietti alla madre ed invocando la liberazione”.

La giovane in Cassazione si è costituita parte civile per chiedere i danni subiti in seguito al sequestro.

Fonte: Adnkronos