Si riapre nel reggiano l’indagine sull’uccisione di don Amos Barigazzi, 63 anni, parroco di Montericco, piccola frazione di Albinea, e cappellano dell’Ospedale psichiatrico giudiziario, ucciso a colpi di fucile nel garage della canonica la sera del 17 ottobre 1990 al ritorno da una riunione dei preti del vicariato. Lo riferisce la Gazzetta di Reggio, precisando che i nuovi accertamenti saranno coordinati dal pm Maria Rita Pantani e che la sorella della vittima, Adua, si è rivolta all’avvocato Ernesto D’Andrea in vista di una possibile futura costituzione di parte civile.
Il sostituto procuratore riesaminerà tutti gli elementi di prova che vennero raccolti nei mesi successivi al delitto; l’attenzione si concentrerà su eventuali oggetti posti sotto sequestro attraverso i quali si possa risalire a un’arma o a tracce biologiche, grazie agli strumenti di investigazione scientifica oggi a disposizione degli inquirenti e impensabili solo vent’anni fa. Strumenti che hanno dato un fondamentale nuovo impulso a indagini come quelle sui delitti di via Poma e dell’Olgiata, a Roma, ma che invece in altri casi – nonostante la caparbietà e la professionalità degli investigatori – non hanno potuto portare a nuovi sviluppi.
Del delitto di don Barigazzi si era parlato nuovamente all’inizio dell’anno, in occasione dell’uscita del libro ‘I misteri di Reggio’ del giornalista Andrea Mastrangelo, edito da Tre Lune, che aveva dedicato il primo capitolo e la copertina proprio al giallo del parroco. All’epoca le indagini si divisero subito tra le ricerche all’interno dell’Opg e le ricerche in ambiti più ristretti, alla luce anche di intercettazioni telefoniche che portarono alla luce aspri contrasti nella zona di Montericco sull’operato del prete. Erano parecchi i detenuti che, usciti di cella, finivano nella frazione in attesa di un reinserimento, presenze che però non tutti in zona gradivano. Fino all’87 il sacerdote era rimasto nella parrocchia dell’Immacolata Concezione, alla periferia di Reggio, poi aveva ottenuto il trasferimento a Montericco dopo la sua richieste di occuparsi dei fedeli di una piccola parrocchia per poter avere più tempo da dedicare ai reclusi dell’Opg.
Anche l’arma del delitto non è mai stata individuata. In un primo momento si pensò ad un punteruolo, ma l’autopsia accertò che don Amos era stato ucciso con un fucile a canne mozze da distanza ravvicinata; quelle che il primo medico aveva ritenuto ferite inferte da un’arma da punta erano le lesioni causate dai pallini del fucile.

