Un software per far dialogare in ospedale il medico ed il paziente straniero che ha bisogno di cure ed assistenza ma non parla l’italiano e non lo comprende. Una sorta di “mediatore culturale elettronico” utilizzabile con qualsiasi tipo di computer, anche con un palmare.

Lo sta sperimentando l’ospedale di Pavullo dove è stato ideato il progetto “Parliamoci”, che si basa sull’utilizzo di domande preconfigurate, tradotte in 13 lingue, alle quali corrisponde una numero chiuso di risposte.

I risultati dell’applicazione della soluzione multimediale saranno presentati in occasione della fiera “Aza Mataotra” (Immigrazione, Intercultura, Comunità Straniere) in programma a Modena da oggi al 18 dicembre (Quartiere fieristico).
Il progetto sarà presentato da Atos Miozzo (Direttore Dipartimento Staff Direzione Generale – Azienda USL Modena), Alessandro Balli (Direttore del reparto di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale di Pavullo) e Mauro Lineti (Dirigente medico dello stesso reparto).
All’interno di “Aza Mataotra” ci saranno anche alcune dimostrazioni pratiche del software venerdì 16 dicembre (ore 12.30 e ore 17.00), sabato 17 (ore 12.30 e ore 17.00) e domenica 18 (ore 11.00 e ore 17.00).

Nella nostra società, sempre più mista, l’esigenza di un’integrazione culturale da parte degli operatori sanitari nei confronti dei pazienti stranieri inizia ad essere avvertita come un fatto importante sia dal punto di vista numerico, sia dal punto di vista qualitativo. Considerando i dati generali sulle presenze e quelli specifici legati all’accesso alle strutture sociosanitarie, le traduzioni sono state fatte in 13 lingue, quelle più parlate dagli stranieri residenti in provincia di Modena.

Partendo dalla più diffusa, sono: arabo (34,57%); inglese (10,7%), albanese (10,29%), russo (6,65%), cinese (5,93%, rumeno (4,77 %), urdu (3,66%), filippino (3,5%), turco (3,38%), spagnolo (2,88%), punjabi (2,6%), francese (2,6%), polacco (1,95%). L’elenco rappresenta complessivamente più del 93% delle lingue madri o parlate dagli immigrati presenti nella nostra provincia, e garantisce, quindi, un elevatissima copertura del fabbisogno.

Il software risponde alla necessità di comunicare con persone che non parlano la stessa lingua e può essere facilmente utilizzato con un qualsiasi computer: desktop, notebook, tablet PC, palmare. In particolare, è stato utilizzato il programma informatico “WOW – un mondo di parole” personalizzato per le esigenze di “Parliamoci“.
Grazie al programma informatico, in assenza o in attesa dell’interprete o di un mediatore culturale, è possibile gestire un colloquio che si articola attraverso una serie di domande preconfigurate, a ciascuna delle quali corrisponde un numero chiuso di risposte che possono essere scelte in base alle caratteristiche dell’interlocutore (ad esempio, maschio o femmina). Le risposte possono essere correlate a successive domande, secondo una struttura ad albero.

La realizzazione del progetto nasce anche dalla necessità di poter operare nei confronti dei pazienti stranieri, che non comprendono l’italiano, in modo corretto dal punto di vista deontologico e legale. Basti pensare, infatti, alle implicazioni che può avere un intervento chirurgico su di un paziente che non ne abbia ben compreso i rischi ed i benefici. Si deve, perciò, fare qualsiasi sforzo per rendere chiaro e comprensibile quello che gli operatori sanitari hanno intenzione di eseguire sul paziente, tenendo conto che si ha di fronte persone che non capiscono la lingua e, tanto meno, termini tecnici magari già familiari ai pazienti italiani.

Non si deve, poi, dimenticare che, a volte, i pazienti stranieri appartengono a culture profondamente diverse dalla nostra, con modi di rapportarsi ed anche di dire molto diversi. E’ l’operatore sanitario italiano, quindi, che deve adattarsi, per quanto possibile, alle esigenze dei pazienti stranieri che accedono agli ospedali.
Il nostro sistema sanitario prevede che tutti possano avere libero accesso alle prestazioni sanitarie, anche urgenti. I pazienti che si rivolgono agli ospedali e ai diversi servizi devono, quindi, godere degli stessi diritti e devono essere messi in condizione di poterne fruire nel modo più completo possibile. Pensiamo, ad esempio, al consenso informato che il medico chiede in seguito ad una patologia traumatica nel momento in cui bisogna scegliere tra un trattamento chirurgico ed uno conservativo. La decisione per l’uno o l’altro trattamento ha ripercussioni sulla vita del paziente in termini familiari, sociali e lavorativi. Quindi, è fondamentale offrire a tali pazienti la possibilità di scegliere con cognizione di causa.

Sempre per quanto riguarda il consenso informato, è poi importante poter regolare il rapporto medico-paziente in modo congruo dal punto di vista legale, anche in previsione di possibili contenziosi tra il paziente e gli operatori e, nel caso di turisti, tra sistemi sanitari di diverse nazioni.
Il progetto ha avuto origine, si è sviluppato e si sta perfezionando nel reparto di Ortopedia dell’ospedale di Pavullo, con la partecipazione di tutto il personale sanitario. L’intento è di portare in tempi brevi il progetto in altri reparti e servizi ospedalieri dell’Azienda USL di Modena.