Nell’anno del cinquantesimo anniversario della morte di Bertolt Brecht, Roberto Andò e Moni Ovadia scelgono un capolavoro della letteratura brechtiana: Le storie del signor Keuner una raccolta di parabole e racconti per celebrare un genio senza età. Un’operazione coraggiosa che non si focalizza sul suo famoso teatro epico ma che sceglie una strada meno scontata che valorizzi un testo oggi scomparso nell’edizione italiana dell’Einaudi e in parte ancora inedito.

L’uscita di una nuova edizione con alcuni testi inediti è stata per Ovadia una tentazione troppo forte, solleticata dal traduttore Roberto Menin. Lo spettacolo è una fuga visionaria nel caos del ‘900 con i suoi dubbi e le sue ferite ancora aperte. Immagini, musica, citazioni, frammenti, suggestioni, testimonianze si fondono senza una traccia narrativa a cui aggrapparsi, ma con delle immagini chiare capaci di instillare una riflessione sul ruolo politico del teatro e sul teatro politico di oggi. Il teatro come luogo di pensiero si nutre dello sguardo che Andò e Ovadia mettono in campo grazie a suggestioni, poesia e leggerezza nonostante la profondità dei temi riguardanti la crisi sociale.

Una sorta di installazione all’interno della quale si muovono figure e reperti, testimonianze registrate come fossero comunicati da portavoce attuali e molto conosciuti come Alessandro Bergonzoni, Gherardo Colombo, Dario Fo, Arnoldo Foà, Claudio Magris, Milva, Massimo Cacciari. Eva Robbin’s, Gino Strada, Gian Maria Testa e altri ancora. La scenografia è labirintica, piena di porte e cita, attraverso quelle porte, il grande teatro delle avanguardie del Novecento. I personaggi sono solo dei reperti: la cantante brechtiana, il custode del museo, l’attore manichino kantoriano, i musicisti clandestini vestiti da donna, in uno spettacolo che dichiara l’attualità strabiliante di Brecht e la sua intuizione veggente.
I musicisti della formidabile Moni Ovadia Stage Orchestra, travestiti da donna aiutano a scandire e a sottolineare la parola lucida, impietosa e penetrante di Brecht nel suo senso etico profondo che intacca anche l’estetica di un teatro che è luogo di pensiero e atto politico di una comunità.

Teatro Storchi, dal 9 all’11 novembre ore 21, il 12 novembre ore 15.30.