Il portale barocco della chiesa di San Giorgio, proprietà del Comune di Reggio Emilia, è stato restituito alla città in tutto il suo splendore. Sono terminati infatti i lavori di restauro della facciata dell’edificio di via Farini, realizzata in cotto e impreziosita da sculture e fregi in marmo bianco di Carrara.

Tolti i ponteggi, ora la bellezza di quest’opera, dovuta all’architetto Flaminio Ruffini, è ammirabile da tutti. Un trionfo del Barocco unico in città, un eccezionale effetto scenografico ottenuto grazie all’armonia progettuale, all’abilità degli scultori Groppelli di Venezia e Giovanni Battista Mattoni di Como, al contrasto vivace fra il bianco (a volte tendente al giallo appena accennato) del marmo e il color mattone delle parti non decorate.

L’intervento sulla facciata, realizzato con un investimento di 74mila euro da parte del Comune, è successivo alle opere di consolidamento strutturale e antisismico effettuate dalla stessa Amministrazione comunale (un investimento di un milione e 266 mila euro, con contributi regionali) per sanare le gravi lesioni causate dai terremoti dell’ottobre 1996 e dell’aprile-giugno 2000 e mettere in sicurezza l’edificio. Un’azione assai complessa, progettata e coordinata dall’ingegner Danile Pecorini, promossa dagli assessorati Lavori pubblici e Città storica nell’ambito della linea strategica dell’Amministrazione comunale per promuovere Reggio quale città della Cultura e valorizzarne il patrimonio creativo e di idee.

I lavori per il restauro della facciata, autorizzati dalla Sovrintendenza ai Beni architettonici, hanno richiesto vari mesi e, in due fasi distinte di intervento, hanno riguardato il portale con l’altorilievo raffigurante San Giorgio a cavallo che uccide il drago con una lancia (quest’ultima in ottone), il portone, i cartigli (fra cui quello con la dicitura Ad majorem Dei gloriam, A maggior gloria di Dio, motto dell’ordine dei Gesuiti a cui per secoli appartenne la chiesa) e ancora fregi, cornici ed altre decorazioni, le colonne con capitelli in stile corinzio, le lesene, i basamenti marmorei e il sagrato. Risaltano ora anche i due elmi, posti ai lati dell’altorilievo, ornamenti adatti a una chiesa dedicata a un santo militare.
Oltre alla pulitura delle parti in marmo e in mattoni, si è proceduto al consolidamento delle stesse decorazioni in marmo, del paramento murario, dei cornicioni e degli intonaci.

Lo stato della facciata, quando vi si pose mano, era assai compromesso. Le sue parti, distribuite su 26 metri di altezza per 22 di larghezza, si presentavano deteriorate, annerite dal tempo e dallo smog, lesionate in alcuni elementi. Ferite del tempo a volte insanabili: sono andati perduti irrimediabilmente frammenti di un ginocchio del cavallo, della testa del drago, di una mano e del naso del santo. Alcune delle opere in marmo si erano parzialmente distaccate dalla struttura muraria e si era verificata la formazione di microlesioni. La minaccia più evidente era il forte annerimento dei materiali, causato dai depositi di particellato atmosferico, coeso al punto da consumare, a volte, i materiali stessi.
I restauratori hanno quindi svolto un meticoloso e intenso lavoro di “spolveratura” e pulitura con acqua “atomizzata” a bassa pressione o nebulizzata per eliminare i sedimenti e rimuovere le incrostazioni nerastre; hanno fissato le parti malferme, sanato le lesioni e inserito piccole stuccature con materiali coerenti con quelli utilizzati per la realizzazione del capolavoro; hanno rimosso materiali estranei alla costruzione originaria. In alcuni casi, si sono svolti interventi persino con appositi “bisturi” e impacchi con sostanze chimiche per ammorbidire, rimuovere e riportare alla luce i colori e gli effetti originali.