(Adnkronos) – Il pranzo di Pasqua a casa farà risparmiare 227,22 euro per una famiglia composta da 6 persone. La stima arriva dall’Osservatorio nazionale della Federconsumatori che ha calcolato il costo pro capite del pranzo di Pasqua, per una famiglia composta da genitori, due figli e due nonni. L’associazione calcola che pranzare a casa, esagerando, costerà circa 26,13 euro a persona, con una spesa complessiva 156,78 euro (il 6 % in più rispetto al 2010).

Al ristorante, invece, con un menu simile, si può spendere fino a 64,00 euro a persona, pari a 384,00 euro per tutta la famiglia. Un’alternativa valida, ricorda l’associazione, rimane il ‘pranzo al sacco’, magari da consumare all’aperto, in apposite aree attrezzate munite, in alcuni casi, anche di barbecue. Per chi, in ogni caso, non vuole proprio rinunciare al tradizionale pranzo al ristorante o in trattoria, Federconsumatori propone qualche accorgimento da seguire. Prima di tutto confrontare sempre i menu ed i listini di più ristoranti.

Approfittando dei menu fissi o concordando il menu in anticipo si può risparmiare anche il 15%. Se si approfitta di menu fissi o si concorda il menu in anticipo, si ricorda di controllare sempre se le bevande ed i dessert sono inclusi o sono a parte. Scegliete preferibilmente ristoranti che conoscete o che vi hanno consigliato, si eviterà così di incorrere in prezzi ‘esagerati’ in vista delle festività e di avere brutte sorprese dal punto di vista della qualità. Scegliendo gli agriturismi, in media, per il pranzo si può risparmiare anche il 30% o, in alternativa, scegliendo i ristoranti a ‘km 0’, dove c’è un risparmio sia per il portafogli che per l’ambiente. Saranno circa 400 milioni le uova ‘ruspanti’ consumate durante la settimana Santa. Sode per la colazione, dipinte a mano per decorare. Oppure consumate in ricette tradizionali o in prodotti artigianali e industriali.

E’ quanto stima la Coldiretti in occasione della Pasqua nel sottolineare che si tratta di un numero superiore di quasi dieci volte a quelle di cioccolata. Preferite sono quelle garantite senza ogm e biologiche che fanno registrare un aumento record negli acquisti familiari del 7% nel 2010. Una tradizione, quella delle uova ‘naturali’ che, sottolinea la Coldiretti, resiste nel tempo con piatti come ‘vovi e sparasi’ in Veneto, torta pasqualina in Liguria, la pastiera in Campania e la scarcedda in Basilicata. Complessivamente si stima che, precisa la confederazione, gli italiani spenderanno quasi 100 milioni di euro nell’acquisto di uova di gallina da consumare direttamente o nella preparazione di primi piatti e dolci, con un risparmio notevole rispetto alla cifra spesa per quelle dolci di cioccolato. Negli ultimi 30 anni, precisa la Coldiretti, i consumi nazionali di uova sono aumentati raggiungendo la cifra record di 13 miliardi di pezzi all’anno che significa una media di circa 218 uova a testa, quasi interamente Made in Italy. Nel corso del 2010 una performance particolarmente positiva è stata ottenuta dalle uova di produzione biologica che hanno fatto registrare un +7% rispetto all’anno precedente e si sono classificate come il prodotto più importante tra i prodotti bio confezionati.

Le uova di gallina, sottolinea la confederazione, hanno rinnovato la gamma delle tipologie offerte e il proprio styling con un sistema di etichettatura obbligatorio che consente di distinguere tra l’altro la provenienza e il metodo di allevamento con un codice che con il primo numero consente di risalire al tipo di allevamento (0 per biologico, 1 all’aperto, 2 a terra, 3 nelle gabbie). La seconda sigla indica lo Stato in cui è stato deposto (es. It), seguono le indicazioni relative al codice Istat del comune, alla sigla della provincia e, infine il codice distintivo dell’allevatore. A queste informazioni si aggiungono quelle relative alle differenti categorie (A e B a seconda che siano per il consumo umano o per quello industriale) per indicare il livello qualitativo e di freschezza e le diverse classificazioni in base al peso (XL, L, M, S). la Cia, Confederazione italiana agricoltori, infine, segnala l’aumento dei prezzi dei dolci tipici di Pasqua, uova di cioccolato e colombe, colpa del caro-gasolio e degli aumenti dei prezzi di cacao e zucchero, mentre dal Movimento Difesa del Cittadino arriva una guida per aiutare i consumatori a effettuare una scelta consapevole sulla qualità di questi prodotti.

 “Per le uova di Pasqua ‘commerciali’ -spiega la Cia- si va da un minimo di 3 euro per gli ovetti di cioccolato a un massimo di 20 per le uova fino a 250 grammi. L’aumento di prezzo, rispetto all’anno scorso, è compreso tra il 5 e il 7%, ma può arrivare fino al 12% per quelle di marca”. In alternativa, ci si può rivolgere al discount: comprare uova ‘low-cost’ senza marchio può ridurre la spesa fino al 35% rispetto ai negozi al dettaglio.

Ma chi invece non vuole rinunciare alle uova di Pasqua ‘artigianali’ -continua la Cia- deve mettere in conto un budget molto più alto. Le uova di cioccolato da pasticceria costano un minimo di 20-25 euro, ma possono toccare anche quota 100 euro se si passa alla dicitura ‘cioccolato finissimo’ o ‘extra’ o se si vuole ‘personalizzarle’. In questo caso l’incremento annuo gira intorno al 10%. Attenzione ai prezzi ma anche alla qualità. Ecco la guida per aiutare i consumatori a effettuare una scelta consapevole stilata dal dipartimento sicurezza alimentare del Movimento Difesa del Cittadino ricorda alcune importanti informazioni riguardo questi due prodotti. Colomba: la denominazione ”Colomba” è riservata al prodotto dolciario da forno a pasta morbida, ottenuto per fermentazione naturale da pasta acida, di forma irregolare ovale simile alla colomba, una struttura soffice ad alveolatura allungata, con glassatura superiore e una decorazione composta da granella di zucchero e almeno il 2% di mandorle, riferito al prodotto finito e rilevato al momento della decorazione.

Gli ingredienti obbligatori sono: farina di frumento; zucchero; uova di gallina di categoria ”A” o tuorlo d’uovo, o entrambi, in quantità tali da garantire non meno del 4% in tuorlo; materia grassa butirrica (cioé burro), in quantità non inferiore al 16%; scorze di agrumi canditi, in quantita’ non inferiore al 15%; lievito naturale costituito da pasta acida; sale. I prodotti venduti direttamente nei laboratori possono essere commercializzati senza etichetta purché sul banco di vendita un cartello o un registro indichino la denominazione di vendita e la lista degli ingredienti.

Uova di Pasqua: per questo prodotto è essenziale valutare la qualità del cioccolato da leggere nella lista degli ingredienti. In particolare, è importante verificare la percentuale di cacao e la presenza di altre sostanze grasse vegetali diverse dal burro di cacao. Se il cioccolato contiene fino al 5% di grassi vegetali diversi dal burro di cacao, la denominazione resta immutata, ma l’etichettatura deve contenere, in grassetto, la specifica dizione: ”contiene altri grassi vegetali oltre al burro di cacao”.

Per ”cioccolato” si intende il prodotto ottenuto da prodotti di cacao e zuccheri. Deve contenere almeno il 35% di sostanza secca totale di cacao e almeno il 18% di burro di cacao e non meno del 14% di cacao secco sgrassato. Per ”cioccolato al latte” si intende invece il prodotto ottenuto da prodotti di cacao, zuccheri e latte o prodotti derivati dal latte. Deve contenere almeno il 25% di sostanza secca totale di cacao, il 14% di sostanza secca totale di origine lattica e il 25% di materie grasse totali. A queste denominazioni di vendita si possono aggiungere altre diciture quali ”fine”, ”finissimo” ed ”extra”, sempre che il prodotto contenga: nel caso del ”cioccolato”, non meno del 43% di sostanza secca totale di cacao, di cui non meno del 26% di burro di cacao; b) nel caso del ”cioccolato al latte”, non meno del 30% di sostanza secca totale di cacao e del 18% di sostanza del latte ottenuta dalla disidratazione parziale o totale di latte intero, parzialmente o totalmente scremato, panna, panna parzialmente o totalmente disidratata, burro o grassi del latte, di cui almeno il 4,5% di grassi del latte.